Per avere successo in Cile, Boric non ha altra scelta che rifondare il contratto fiscale
Introducendo principi di progressività fiscale nella sua nuova costituzione, il Cile può rompere il circolo vizioso della disuguaglianza e aprire la strada al resto del mondo.
di Ricardo Martner
4' di lettura
Gabriel Boric non ha scelta. L’uomo la cui elezione è senza dubbio l’evento politico più importante nel paese dal referendum del 1988 che ripristinò la democrazia dopo la dittatura di Pinochet (1973-1990) ha assicurato che se “il Cile è stato la culla del neoliberismo, sarà anche la sua tomba”. Se vorrà mantenere la sua promessa e negoziare un nuovo contratto sociale, il 35enne presidente eletto dovrà scegliere una priorità: riformare il sistema fiscale.
In Cile il sistema fiscale è il garante della perpetuazione delle disuguaglianze, la cui persistenza alimenta tensioni sociali che ormai da anni stanno esplodendo. Coloro che si vantano dei successi del modello cileno si scontrano con cifre implacabili: con il 10% più ricco del paese che monopolizza quasi il 60% della ricchezza nazionale e la metà più povera della popolazione che riceve solo il 10%, è uno dei paesi più ingiusti del mondo.
Questa è la prova, se ce ne fosse bisogno, che la riduzione delle disuguaglianze non richiede solo politiche di redistribuzione, ma anche uno stato capace di finanziare servizi pubblici di qualità - in particolare salute e istruzione - che siano accessibili al maggior numero di persone. Non si tratta di spese che possano essere eliminate o ridotte in nome dell’austerità, ma di investimenti essenziali per ridurre le disuguaglianze. In Cile questo motore si è rotto. Con entrate fiscali del 20,2% del PIL nel 2020, il paese è lontano dalla media del 33,5% dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), il club di nazioni ricche di cui si vanta di far parte.
Peggio ancora, il nostro sistema fiscale è altamente regressivo, con una forte enfasi sulle imposte indirette, che gravano principalmente sui settori medi e a basso reddito della popolazione, mentre danno un trattamento preferenziale alle grandi imprese. E l’evasione fiscale sta imponendo un forte pedaggio: abbiamo calcolato, per esempio, che tra il 2013 e il 2018 il fisco ha perso tra i 7,5 e i 7,9 punti di PIL all’anno, equivalenti a 1,5 volte il bilancio dell’istruzione e 1,6 volte il bilancio della sanità.
Il contratto fiscale ha quindi bisogno di essere ricostruito. È un’impresa gigantesca. Significa riformare l’IVA, riducendo significativamente le aliquote per i beni di prima necessità, le medicine e i libri. Pagare il 19% in meno per il latte o il pane farebbe la differenza per le famiglie più povere. Richiede anche l’introduzione di un imposto progressivo sui redditi più alti e una tassa sulle grandi fortune. Meno dello 0,1% della popolazione, i molto ricchi, concentrano nelle loro mani una fortuna equivalente al PIL annuale del Cile. Tassare la loro ricchezza ad un tasso del 2,5% raccoglierebbe circa 5 miliardi di dollari, o l’1,5% del PIL. Infine, alcune esenzioni che beneficiano solo i gruppi ad alto reddito, sia le multinazionali che i cittadini più ricchi, devono essere eliminate.
Naturalmente c’è da aspettarsi un tiro alla fune nel Congresso, che è controllato per metà dai conservatori. Questo è il motivo per cui la tassazione dovrebbe essere al centro delle discussioni per la nuova Costituzione, che sarà sottoposta a un referendum nel terzo trimestre del 2022. Il testo attuale, approvato durante la dittatura, sancisce il modello neoliberale limitando la capacità dei governi di ridurre le disuguaglianze attraverso la tassazione. La Costituzione dovrebbe adottare il principio della progressività fiscale - con la sua chiara definizione: cioè, le aliquote fiscali effettive dovrebbero dipendere dal livello di reddito o di ricchezza, con i cittadini più ricchi che contribuiscono di più. Naturalmente, questi principi dovranno poi essere tradotti in leggi dal Congresso. Ma una tale Costituzione renderebbe i funzionari eletti responsabili, costringendoli ad essere più trasparenti.
Affermare un principio di tassazione progressiva significa permettere ad una possibile maggioranza popolare e democratica di rifondare il patto fiscale, come ci ha ricordato recentemente durante uno scambio con i costituenti cileni l'economista francese Thomas Piketty, con cui lavoro su questi temi all’interno della Commissione Indipendente per la Riforma della tassazione delle imprese multinazionali (ICRICT). Anche la società civile ha capito l’urgenza di riprendere questo dibattito per non lasciarlo ostaggio di burocrati tecnici che favoriscono lo status quo. Esperti, ONG e sindacati hanno appena creato una Rete Cittadina di Giustizia Fiscale per il Cile per presentare proposte concrete ai Costituenti.
Scrivendo la sua nuova costituzione, il Cile può mostrare la strada. Infatti, sebbene sia un paese di appena 19 milioni di persone ai margini dell’Antartide, simboleggia una tendenza globale. Ovunque, le aliquote marginali massime delle imposte sul reddito personale e della tassa di successione sono state ridotte, mentre le tasse sulla ricchezza netta, una volta relativamente diffuse nei paesi OCSE, sono state abbandonate per la maggior parte. Ovunque c’è stato un drammatico calo delle aliquote delle imposte sulle società, con le aziende che approfittano di un sistema fiscale internazionale obsoleto per nascondere i loro profitti nei paradisi fiscali.
Nel mondo, i ricchi sono ancora più ricchi dopo due anni di pandemia di COVD-19. La ricchezza combinata di tutti i miliardari, stimata a 5 trilioni di dollari alla fine del 2019, ha raggiunto 13,8 trilioni di dollari alla fine del 2021, il livello più alto di sempre, come ha rivelato Oxfam in un rapporto appena pubblicato. In questo periodo, 160 milioni di persone sono cadute in povertà, mentre ogni ventisei ore si è registrato un nuovo miliardario.
E ovunque, l’esplosione della disuguaglianza coincide con l'aggravamento accelerato del cambiamento climatico. Il 10% più ricco della popolazione globale emette quasi il 48% delle emissioni globali (sia che viva nel Nord o nel Sud del mondo), -l’1% più ricco da solo produce il 17%! - mentre la metà più povera della popolazione è responsabile appena del 12%. In Cile, come nel resto del mondo, riformare il patto fiscale, facendo pagare più tasse ai più ricchi, non è più una questione tecnica. È una priorità politica e, di fronte all’emergenza climatica, esistenziale.
Ricardo Martner è un economista e membro della Commissione Indipendente per la Riforma della tassazione delle imprese multinazionali (ICRICT). In precedenza, è stato capo del dipartimento fiscale della Commissione Economica per l’America Latina e i Caraibi (CEPAL).
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