Per capire la guerra in Ucraina ci servirebbero nuovi Montanelli
I suoi reportage dall’Ungheria sono un classico del giornalismo di guerra. Attuali anche per comprendere i conflitti di oggi
di Giancarlo Mazzuca
2' di lettura
Dopo i tanti medici che hanno dominato la scena per due anni con il Covid 19, oggi, con il Putin 22, sui mass media è scoccata l'ora dei generali ma, soprattutto, degli inviati di guerra in Ucraina. In questi giorni, infatti, abbiamo visto e sentito giornalisti dal fronte in tutte le salse: alcuni davvero bravi, altri meno.
Non so a voi, ma al sottoscritto tutte le vicende belliche di questi giorni hanno, comunque, fatto venire in mente le cronache esemplari di colui che è stato il principe degli inviati di guerra: Indro Montanelli, il più grande testimone del Novecento. I suoi “reportage” dai vari fronti – dalla guerra civile in Spagna, dove venne squalificato dal Minculpop per aver raccontato tutta la verità sulla battaglia di Santander, alla Finlandia, dalla Polonia all'Albania – vennero molto apprezzati dai lettori dell'epoca per la loro chiarezza ed onestà intellettuale.
Il paragone con l’Ungheria del 1956
Alla luce di quanto sta avvenendo oggi a Kiev e dintorni, sono andato così a rileggermi gli articoli che Montanelli scrisse da Budapest durante la rivolta d'Ungheria del 1956 ed ho scoperto che, anche in quel caso, ci sono tante somiglianze con le attuali vicende belliche in Ucraina. Proprio Indro fu tra i primi giornalisti occidentali ad arrivare nella capitale magiara per una fortunata coincidenza: quando, in autunno, scoppiarono i moti a Budapest Montanelli era ai confini ungheresi, perché, vestito alla tirolese (la sua prima moglie era di quelle parti), stava partecipando in Austria ad una battuta di caccia del gallo cedrone e, quando seppe cosa stava succedendo al di là della frontiera, si precipitò a Budapest in taxi senza neppure cambiarsi d'abito.
Quando arrivò a destinazione, l'insurrezione sembrava già rientrata, con il varo di un nuovo governo, ma la tregua durò poco perché, subito dopo l'annuncio che gli ungheresi si sarebbero ritirati dal patto di Varsavia, l'Armata rossa prese d'assalto la capitale. La cronaca agghiacciante di quell'attacco fatta quasi settanta anni fa dall'inviato del Corriere della Sera sembra, purtroppo, di estrema attualità: «…Dieci divisioni corazzate precipitavano sulla capitale. I carri armati vi entrarono alle sei e un quarto e fu una terrificante colata d'acciaio…Budapest sembrava una necropoli dissepolta. Di vivo non c'erano che le bandiere pendule ai balconi…».
L’intuito di Montanelli
Montanelli comprese subito i motivi di quell'insurrezione: scrisse – ed aveva ragione - che quella rivolta era nata all'interno dello stesso partito comunista ungherese contro l'oppressione del regime sovietico. Una posizione, la sua, che provocò il divorzio, sia pur temporaneo, dal suo amico e maestro Leo Longanesi che aveva sostenuto il contrario: secondo lui, si sarebbe trattato invece di una vera e propria rivoluzione provocata dai ceti medi ungheresi. Ma, ancora una volta, era stato Indro ad aver visto giusto: anche se lui stesso diffidava dagli scoop giornalistici, le sue cronache di guerra, scritte in diretta con la sua mitica Lettera 22, finivano per anticipare sempre quello che sarebbe successo il giorno dopo. Sì, oggi, per comprendere meglio gli sviluppi della guerra in Ucraina, avremmo davvero bisogno di qualche altro Montanelli.
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