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Per contenere lo spread la Bce ha ben tre armi (ma sono tutte spuntate)

I programmi di acquisto di attività finanziarie, effettuati dalla Bce negli anni del Quantitative easing, hanno portato l’Eurosistema a detenere circa un terzo del debito pubblico del nostro Paese.

di Angelo Baglioni

4' di lettura

I programmi di acquisto di attività finanziarie, effettuati dalla Bce negli anni del Quantitative easing, hanno portato l’Eurosistema a detenere circa un terzo del debito pubblico del nostro Paese. Ciò ha contribuito a ridurre in misura significativa la spesa per interessi sostenuta dallo Stato italiano, attraverso due canali. Primo, un effetto di contenimento dei tassi di interesse di mercato. Secondo, la restituzione al Tesoro di parte degli interessi pagati sui titoli pubblici detenuti dalla banca centrale. Con l’uscita dalle politiche di Qe, questo sostegno si sta riducendo, in modo graduale ma inesorabile. Nel corso del 2022 sono terminati gli acquisti netti di titoli da parte della Bce. Nel corrente mese di marzo la banca centrale ha dato avvio alla riduzione del portafoglio-titoli accumulato in precedenza: il cosiddetto Quantitative tightening (Qt). Per ora la dimensione della riduzione è molto contenuta: 15 miliardi al mese fino a giugno (in media e per tutta l’area euro) a fronte di un portafoglio-titoli di quasi 5mila miliardi. Ma successivamente essa potrebbe aumentare.

Ciò sta avvenendo insieme al rialzo dei tassi di interesse: dal luglio 2022 i tassi ufficiali della Bce sono aumentati di tre punti percentuali. Parlare di “stretta monetaria” è tuttavia improprio. Quella a cui stiamo assistendo è una “normalizzazione” della politica monetaria, che la Bce sta portando avanti al pari di altre banche centrali, anzi in misura più graduale e prudente di altre, a cominciare dalla Fed che ha aumentato i tassi del 4,5% in un anno e sta riducendo il suo portafoglio-titoli al ritmo di 95 miliardi al mese. Ci eravamo abituati a una politica molto espansiva, basata sugli acquisti di titoli da parte della banca centrale e su livelli nulli o negativi dei tassi di interesse. La ripresa dell’inflazione costringe le banche centrali a riportare la gestione della politica monetaria su un sentiero più normale.

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Quali strumenti rimangono per garantire il sostegno della banca centrale al mercato dei titoli di Stato di un Paese ad alto debito come il nostro? Sulla carta sono ben tre, ma tutti piuttosto deboli, per i seguenti motivi.

Il primo strumento è il Transmission protection instrument (Tpi), introdotto dalla Bce nel luglio scorso: come dice il nome, si tratta di uno strumento atto ad assicurare la corretta trasmissione della politica monetaria nell’area euro, evitando frammentazioni tra un’economia e l’altra. Non si tratta di uno strumento volto a fornire un sostegno a un Paese specifico, che conduca una gestione non sostenibile della finanza pubblica. Il Tpi permetterà alla Bce di avviare acquisti dei titoli di debito pubblico di un Paese sulla base di una valutazione che comprende diversi criteri.

1 Il Paese interessato non deve essere sottoposto a una procedura per disavanzo eccessivo, nell’ambito del quadro fiscale europeo.

2 Il Paese non deve essere sottoposto a una procedura per squilibri macroeconomici eccessivi.

3 Il debito pubblico del Paese deve collocarsi su un percorso sostenibile, secondo una valutazione di sostenibilità fatta dalla Bce stessa, insieme alla Commissione europea, al Meccanismo europeo di stabilità (Mes) e al Fondo monetario internazionale.

4 Rispettare gli impegni presi con il Pnrr e con la Commissione europea nell’ambito del Semestre europeo. Si tratta di condizioni severe, che non consentiranno a un Paese “deviante” rispetto alle regole europee di finanza pubblica (la cui riforma è attualmente in discussione) di usufruire dello “scudo anti-spread”.

La terza condizione, in particolare, sembra molto impegnativa e soggetta ad ampi margini di discrezionalità: prevedere la traiettoria del rapporto debito/Pil e valutarne la sostenibilità è un esercizio il cui risultato dipende in modo cruciale dalle ipotesi sottostanti.

Il secondo strumento è il programma Omt (Outright monetary transactions) adottato dalla Bce nel 2012 a valle del famoso «whatever it takes» del presidente Mario Draghi. Esso richiede la firma di un accordo di assistenza finanziaria con il Mes con tanto di connesso programma di aggiustamento fiscale e macroeconomico. Questa pesante condizionalità è il motivo per cui le Omt non sono mai state utilizzate finora e sembra difficile che vengano utilizzate in futuro: potrebbe succedere solo nel caso in cui il Consiglio direttivo della Bce intendesse indurre il governo di un Paese a concordare un piano di consolidamento fiscale con il Mes.

Il terzo strumento, atto a evitare un eccessivo ampliamento degli spread sui titoli pubblici, è la flessibilità nelle operazioni di riacquisto dei titoli in scadenza, acquistati con il programma pandemico. Secondo lo stesso Consiglio direttivo della Bce, questa flessibilità è la “prima linea di difesa” per fronteggiare i rischi di frammentazione nell’area euro. La flessibilità nella distribuzione geografica degli acquisti è stata usata nella fase iniziale della crisi pandemica, per contenere gli spread dei Paesi ad alto debito (come il nostro) che erano entrati in tensione. Nei mesi seguenti, gli acquisti hanno mostrato una tendenza a convergere verso la distribuzione per Paese che deriva dal principio delle capital keys: in pratica, in base alla dimensione dei Paesi membri della zona euro. Successivamente si è osservato un ritorno verso un utilizzo flessibile degli acquisti, fatti in occasione del rinnovo dei titoli in scadenza. Dai dati riportati nella tabella, emerge che la politica di rinnovo non è stata neutrale nel periodo aprile-settembre 2022: essa ha favorito alcuni Paesi, in particolare Italia e Spagna, a discapito della Germania e altri. Tuttavia gli importi in gioco sono assai contenuti. In prospettiva, bisognerà vedere se la Bce sarà disposta a usare questa flessibilità in misura maggiore e quale sarà la sua efficacia di fronte a un eventuale attacco speculativo sul debito di un Paese membro.

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