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Per fare finanza responsabile serve un fondo sovrano che investa in natura e cultura

Mi piace sempre pensare che la parola finanza abbia come radice la parola “fine”, cioè che sia uno strumento per poter raggiungere degli obiettivi.

di Francesca Medda

(ipopba - stock.adobe.com)

4' di lettura

Mi piace sempre pensare che la parola finanza abbia come radice la parola “fine”, cioè che sia uno strumento per poter raggiungere degli obiettivi. Obiettivi che ultimamente, soprattutto dopo la crisi finanziaria del 2008, non possono limitarsi alla mera generazione di profitto, ma devono poter contribuire attivamente a portare avanti, sostenere e quindi raggiungere una società migliore nel senso più ampio e cioè includendo anche l’ambiente naturale.

Sembra strano che ancora si finanzino progetti che possono distruggere l’ambiente in cui viviamo e dove vivranno le generazioni future. Il trade-off tra investire per creare lavoro ottenendo un guadagno e tener conto anche dell’ambiente naturale, ma conseguendo una perdita finanziaria, non ha più fondamento dal punto di vista teorico e dei dati. Parimenti, l’esperienza e capacità della finanza di creare sempre nuovi prodotti e strumenti, ci dimostra che la prospettiva finanziaria sia cambiata. Questi strumenti, in maniera più innovativa del solito, lavorano meglio in maniera co-partecipata per ottenere il “fine” prima indicato. Il crowdfunding serve per attivare per esempio i fondi di venture e i fondi pensione per i quali funzionano come leve le azioni fiscali pubbliche. Vi sono tanti esempi, soprattutto nell’ambito urbano, in cui le interazioni tra pubblico e privato per ottenere uno sviluppo sostenibile sono più evidenti, perché agendo separatamente spesso non si ottengono risultati di impatto economico finanziario e sociale duraturi.

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Questa compartecipazione finanziaria dovrebbe essere agevolata tra enti e agenti pubblici e privati.

Un esempio. Dopo una grande alluvione, varie infrastrutture e aziende colpite erano inutilizzabili: le strada e le ferrovie erano state danneggiate gravemente, così come altre infrastrutture quali la luce e le reti idriche, così precludendo le attività nelle aree industriali ma soprattutto era necessario intervenire nelle aree abitate. Nel caso da me vissuto, tutti i vari enti e aziende si erano mossi in maniera separata per risolvere il loro problema, chi doveva sollevare di 1,5 m la strada ferrata, chi creare degli sbarramenti, chi ricostruire ciò che era stato distrutto dal fiume. Il budget totale ammontava ad alcuni milioni di euro. Eppure bastava che ognuno andasse al di là della propria competenza, chi ferroviaria o chi industriale, per capire che con una frazione di quella cifra si poteva intervenire sugli argini del fiume e risolvere i problemi per tutti. In quel caso fu necessario superare il problema del “non è di mia competenza” e dimostrare che attraverso un input-output finanziario le interrelazioni tra i diversi attori potevano determinare un valore aggiunto negli investimenti, in questo caso attraverso il risparmio di capitali pronti da investire.

Questo tipo di finanza vorrei chiamarla responsabile. In inglese la parola responsible ha un diverso significato da quello della parola accountable, mentre in italiano i due lemmi sono fusi, ed è preferibile in questo contesto, perché ci interessa nella finanza responsabile non solo il risultato nell’azione finanziaria (cioè l’impatto), ma anche il processo con cui questa azione viene messa in atto, soprattutto se è un’azione di interdipendenza tra attori finanziari.

In questo ambito, la finanza responsabile ha il suo punto di forza nel trovare le interrelazioni tra i vari attori, e questo può rappresentare il valore aggiunto per le aziende per poter affrontare il percorso verso la transizione ecologica. L’azione dello Stato e sì di compartecipazione finanziaria (benché le azioni statali attraverso incentivi finanziari possano determinare moral hazard e distorsioni nel mercato come spesso abbiamo visto), ma soprattutto è quella della diminuzione dei rischi. Dal punto di vista del settore privato, quando si investe per esempio in imprese e infrastrutture sostenibili uno dei rischi più elevati è quello normativo, perché gli investitori hanno scarso controllo sull’esito del processo politico. Questo rischio idiosincratico è significativo poiché la stabilità dei flussi finanziari è garantita solo se non si verificano continui cambiamenti legislativi e regolamentari.

Un altro aspetto che deve essere affrontato nell’ambito italiano è quello di diminuire la frammentazione finanziaria dei fondi, quali ad esempio i fondi pensione. Si pensi soltanto al potere finanziario che quelli canadesi o americani riescono a imprimere negli investimenti sostenibili. In realtà l’articolo 8 della Sustainable finance disclosure regulation (Sfdr) avrebbe una maggiore portata se questa frammentazione fosse ridotta.

Vale la pena ricordare qui che un altro strumento importante per accelerare il percorso verso una transizione sia quello di creare un fondo sovrano italiano specializzato nel capitale naturale e culturale italiano (che sono per l’Italia come il petrolio per i norvegesi e il loro fondo sovrano) che faciliterebbe una finanza responsabile che possa mitigare i rischi. Tale strumento si poggerebbe su strutture e processi finanziari trasparenti, così avvantaggiando l’ingresso degli investitori privati nel mercato italiano. Un fondo sovrano italiano ancorerebbe gli investimenti sostenibili, infondendo maggiore fiducia nei suoi rendimenti. Inoltre dovrebbe fungere da fondo permanente in cui per esempio i fondi pensione possano investire e formare parte del portafoglio.

La messa in comune degli investimenti tra diversi attori e attraverso diversi strumenti può quindi fornire all’Italia risorse significative per gli investimenti per una finanza green, ma in generale per una finanza responsabile.

Oggi alle ore 18.30 in Viale Pasubio 5 a Milano, l’inaugurazione della nuova Stagione di attività 2023 di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli.
Con i saluti del Presidente Carlo Feltrinelli e la partecipazione straordinaria dell'ex Presidente della Repubblica francese, François Hollande.
Intervengono Massimiliano Tarantino, Direttore di Fondazione G. Feltrinelli, lo storico francese Marc Lazar, lo scrittore Donald Sassoon, l'economista Clara Mattei e il prof. di storia internazionale al Centre d’Histoire di Sciences Po Mario Del Pero.
Con i saluti conclusivi di Giuseppe Sala, Sindaco di Milano e Marco Alparone, Vicepresidente e Assessore al Bilancio e Finanza Regione Lombardia.
È possibile seguire l’iniziativa in diretta streaming sull’Home Page del sito della Fondazione o sulla pagina Facebook.
Il programma 2023 si articola in sei movimenti per ricomporre il presente e progettare il futuro:
Sulle macerie del muro, Disturbare il potere, Riprendersi le piazze, Economie in trasformazione, Riscoprirsi cittadini, Democrazia in movimento.

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