Per Ferrarini dall’estero un quarto del fatturato
di Mi.Ca.
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«L’accordo di libero scambio con il Canada? È stata un’intesa buona, ci sta aiutando parecchio. Da quando è entrata in vigore in via provvisoria, a settembre, abbiamo finalmente buttato via le etichette “Original prosciutto” sul crudo che esportiamo. Grazie alla tutela che l’accordo garantisce alle Dop, ora anche in Canada possiamo chiamarlo Prosciutto di Parma». Lisa Ferrarini, 54 anni, è vicepresidente per l’Europa di Confindustria e di accordi commerciali della Ue ne sa parecchio. Ma questa volta indossa gli abiti del presidente del Gruppo Ferrarini, l’azienda che suo padre ha fondato nel 1956 a Reggio Emilia e che oggi fattura 335 milioni di euro all’anno, con un Ebitda di 29,5 milioni.
Il 2017, per Ferrarini, non è stato un anno buono solo per via del Ceta, l’accordo Ue-Canada. Secondo i dati dell’Iri Information resources, che monitora puntualmente l’andamento delle vendite nella grande distribuzione, nel segmento dei salumi il gruppo Ferrarini è tra quelli che ha messo a segno la crescita più alta: più 15,2% in volumi e più 12,5% in valore. Se prendiamo solo i gruppi del segmento salumi con ricavi nella Gdo superiori ai 100 milioni l’anno, Ferrarini è addirittura al primo posto per percentuali di crescita. Numeri alti, se si considera che l’aumento medio del comparto l’anno scorso è stato solo del 2 per cento.
Il merito? «Tutto della qualità del prodotto - sostiene Lisa Ferrarini - visto che come gruppo abbiamo fatto la precisa scelta di non ricorrere alla pubblicità in tv. Puntiamo sul passaparola. E anche su una rete di 200 venditori monomandatari, che sui punti vendita promuovono solo il nostro marchio».
Ferrarini non cresce solo in Italia, ma anche all’estero, che ormai rappresenta un quarto del fatturato del gruppo. «Il mercato spagnolo sta crescendo in maniera eccezionale per noi - racconta la presidente - ma anche negli Stati Uniti registriamo aumenti importanti, paragonabili a quelli delle vendite nella Gdo italiana. Proprio negli Usa conto di portare avanti operazioni significative, visto che siamo riusciti ad agganciare con un accordo diverse catene della grande distribuzione locale». Cresce anche il mercato giapponese, dove Ferrarini è presente con una società che non solo commercializza, ma anche confeziona il prodotto: «È una piazza, questa, che ci richiede vaschette di salumi in porzioni da soli 30-40 grammi, per questo abbiamo bisogno di affettare il prodotto direttamente sul posto».
Stranezze della globalizzazione? Certe volte è un fattore culturale, molto più spesso però è una questione di regolamentazioni sanitarie. E si sa, ammette Lisa Ferrarini, «quando le barriere al commercio internazionale non sono tariffarie, possono sempre essere sanitarie». Come quelle, per esempio, che è necessario affrontare per poter accedere ai mercati del Sudest asiatico, dove comunque Ferrarini è in crescita e che affronta dalla sua base operativa di Hong Kong. L’Australia? «Un altro Paese interessante - racconta la presidente Ferrarini - ma complicato. Per esempio, perché blocca l’importazione di prodotti sotto i 300 giorni di stagionatura». Temi da accordi bilaterali di libero scambio che vanno trattati in sede Ue, certo. Ma non si può dimenticare che a livello nazionale ci sono Paesi che sanno affrontare questa sfida meglio dell’Italia: «È un dato di fatto che le imprese spagnole arrivano là dove noi oggi non riusciamo ad arrivare per via delle barriere sanitarie».
Oltre che sulla qualità del prodotto e sull’internazionalizzazione dei mercati, Ferrarini scommette anche sull’innovazione, con il 5% del fatturato investito nella ricerca e uno stabilimento produttivo, quello Vismara, attrezzato secondo i più avanzati dettami dell’Industria 4.0 applicata all’agroalimentare. I prossimi passi? «Prima di Pasqua - anticipa Lisa Ferrarini - porteremo sul mercato alcuni nuovi prodotti: uno da banco, uno per il segmento confezionato, e uno per il comparto vini destinato ai consumatori esteri».
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