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Per gli italiani la consulenza finanziaria è «gratis»

Occorre trovare una soluzione più radicale per consentire ai risparmiatori di rendersi conto dell’impatto che le commissioni pagate hanno sui propri investimenti

di Gianfranco Ursino

(alfa27 - stock.adobe.com)

2' di lettura

La stragrande maggioranza degli italiani non ha la minima idea di quanto paga per avere un servizio di consulenza finanziaria. A ribadirlo è la stessa Consob nel recente «Rapporto sugli investimenti finanziari delle famiglie italiane. Atteggiamenti e approcci comportamentali». Su un campione di 1.436 intervistati, solo il 35% è consapevole del fatto che la consulenza è un servizio a pagamento.

A rimarcare la scarsa percezione degli oneri della consulenza, ci sono anche altre due sconcertanti evidenze: gli investitori prestano scarsa attenzione ai costi sia al momento della scelta del consulente (solo il 4% degli intervistati assistiti da un professionista dichiara di prestare attenzione), sia ai fini della valutazione della prestazione ottenuta (in questo caso la percentuale è all’8%). Con questi numeri come è pensabile mantenere ancora lo status quo? La Mifid2 su questo fronte, per il momento, è fallita.

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Tra i pilastri della direttiva comunitaria, che mira a offrire le più ampie garanzie di tutela degli investitori, c’è anche la trasparenza nelle relazioni tra intermediari e clienti, in primis sul fronte dei costi e dei potenziali conflitti di interessi. Ma la strada intrapresa di obbligare l’intermediario di fornire una puntuale informazione dei costi ex-ante ed ex-post ai clienti non è sufficiente.

Dall’entrata in vigore dell’obbligo nel 2018, gli intermediari hanno escogitato di tutto per celare l’informazione ai clienti. L’ultima prassi è quella di non inviare la documentazione via posta, tradizionale o elettronica, ma di assolvere l’obbligo semplicemente pubblicando la rendicontazioone dei costi in un pagina web ben nascosta nell’home banking del cliente. Entro il prossimo 30 aprile i risparmiatori dovrebbero ricevere il dettaglio degli oneri sostenuti nel 2022, in euro e in percentuale, che illustri separatamente la componente del prezzo pagato per il prodotto e per la consulenza ricevuta. Tra i costi vanno indicati anche gli incentivi incassati dal consulente per il collocamento dei vari prodotti.

Gli strumenti per far cogliere il peso dei costi e i potenziali conflitti di interesse in teoria quindi ci sono, ma non bastano. Ecco perché in sede comunitaria è tornato in discussione il tema del divieto alle retrocessioni delle commissioni, i cosiddetti rebate, in quanto portatori di potenziali conflitti di interessi.

Da parte loro, però, i risparmiatori devono essere consapevoli che nessuna legge o authority può tutelarli più di se stessi e devono quantomeno fare la loro parte. Anche solo chiedendo spiegazioni sui costi, senza pagare supinamente. Provate a chiedere ogni volta al vostro consulente quanto guadagna dalla vendita del prodotto che vi sta consigliando. Se reticente nella risposta, non vi fate scrupoli: cambiate interlocutore per gestire i vostri risparmi. Anche perché dovrebbe dirvelo senza dover fare voi una specifica richiesta. Senza le adeguate pressioni dei clienti, gli intermediari sono restii ai cambiamenti. Per loro lo status quo può rappresentare ancora il bengodi.

Ecco perché occorre trovare una soluzione più radicale per consentire ai risparmiatori di rendersi conto dell’impatto che le commissioni pagate hanno sui propri investimenti, anche per dargli la consapevolezza di poter virare, eventualmente, verso soluzioni che sostanzialmente non li spremono.

Riproduzione riservata ©
  • Gianfranco UrsinoResponsabile Plus24

    Luogo: Milano

    Argomenti: Fondi comuni, Etf, Assicurazioni, Conti correnti, Conti deposito, Mutui, Polizze fideiussorie, Anatocismo, Usura, Risparmio postale, Libretti Coop, Banche, Borsa, Consob, Banca d’Italia, Abf, Acf, Oam, Ocf, Consulenza finanziaria, Fondi pensione, Casse di previdenza, Fintech

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