ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùLe sfide della Ue

Per l’Europa politica occorre un nuovo trattato di Messina

Con l’assetto attuale l’Unione non è in grado di affrontare le prossime sfide economiche e strategiche

di Pier Virgilio Dastoli, Sergio Fabbrini, Fiorella Kostoris, Stefano Micossi e Valeria Termini

 Macron e Draghi si stringono la mano dopo la firma del trattato, sotto gli occhi di Mattarella

5' di lettura

La vittoria di Macron in Francia è una buona notizia per l’avanzamento dell’Europa delle istituzioni e della sovranità politica. Tanto più se la maggioranza europeista verrà confermata nelle elezioni legislative del prossimo giugno, una finestra importante si aprirà per promuovere un’Unione politica dotata di un’autonoma capacità di azione. Un’opportunità che il premier Draghi, parlando ieri a Strasburgo alla plenaria del Parlamento europeo, ha dimostrato di voler cogliere, quando ha sostenuto che «le istituzioni che i nostri predecessori hanno costruito negli scorsi decenni hanno servito bene i cittadini europei, ma sono inadeguate per la realtà che ci si manifesta oggi».

Perché un’unione politica?

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In primo luogo, perché le sfide congiunte del ritorno della politica di potenza a livello europeo (evidenziato dall’aggressione russa dell’Ucraina) e della ri-globalizzazione selettiva più in generale richiedono coesione politica per essere affrontate. In secondo luogo, perché i singoli Paesi non sono in grado di gestire i costi sociali della crisi energetica e delle materie prime, crisi che stanno ulteriormente alzando il livello della povertà e del disagio nelle nostre società, da cui peraltro i leader sovranisti traggono il loro consenso elettorale. In terzo luogo, perché l’aggressione russa ha mostrato la debolezza delle soluzioni nazionali ai problemi energetici. Senza una politica energetica europea non ci si potrà liberare dalla dipendenza nei confronti del regime putiniano. In quarto luogo, perché senza un’autonomia finanziaria dell’unione non si possono affrontare sfide comuni. Come è avvenuto durante la crisi pandemica, serve un bilancio comune per acquisire risorse che i singoli Paesi non potrebbero mobilitare da soli. Tale bilancio non deve essere temporaneo, bensì dovrà sostenere la produzione dei necessari beni pubblici europei in maniera permanente.

Quali sono gli ostacoli

L’attuale Unione europea (Ue) di ventisette Paesi, destinata a crescere con nuovi allargamenti, non è in grado di affrontare le sfide che abbiamo di fronte. Il progetto di Europa politica, basato su nuove istituzioni adeguate allo scopo, non farebbe neppure un passo in avanti con l’attuale configurazione di stati membri e di regole decisionali. Molti dei Paesi entrati con gli ultimi allargamenti hanno mostrato di perseguire una finalità diversa da quella celebrata dal Preambolo ai Trattati di Roma del 1957 (e confermata nei Trattati successivi). Invece di usare l’integrazione per creare «un’unione sempre più stretta dei popoli europei», quei Paesi l’hanno utilizzata per rafforzare il loro stato nazionale, in alcuni casi addirittura per crearlo. Dopo tutto, i criteri di Copenaghen prevedono l’esistenza di uno stato funzionante per poter partecipare al mercato unico. Questo positivo processo di state-building è stato però talora accompagnato dal rilancio del nazionalismo, un nazionalismo favorito dalla logica di funzionamento degli organismi intergovernativi (il Consiglio europeo, innanzitutto) che è divenuta predominante nell’Ue durante le crisi multiple del decennio scorso. Un nazionalismo che ha rivendicato valori politici e tradizioni giuridiche difficilmente compatibili con i principi della democrazia liberale che sono alla base del processo di integrazione. Il progetto dell’unione sempre più stretta è contrastato anche da buona parte dei Paesi dell’Europa settentrionale, interessati principalmente ai benefici del mercato interno. Occorre trovare risposte innovative alle legittime richieste dei nuovi Paesi che vogliono entrare nell’Ue, così come alle esigenze, altrettanto legittime, di quei Paesi che vogliono rimanere in un mercato comune, ma non procedere verso un’unione sempre più stretta.

Come uscire dallo stallo

Il progetto di Europa politica non può che nascere nel quadro dei sei Paesi fondatori, in particolare dei tre grandi. Spetta a loro prendere l’iniziativa concordando alcuni passi significativi che segnino un salto di ambizione nella costruzione dell’unione politica – in particolare nei tre campi della politica estera e di difesa, della politica energetica e della politica fiscale e di bilancio. Un’iniziativa politica di questo tipo avrebbe sicuramente il sostegno di Spagna e Portogallo, mentre la Grecia chiederebbe certamente di partecipare e i Paesi Baltici potrebbero esserne attratti. La partecipazione a tale iniziativa dovrebbe restare aperta, ma a condizione che i Paesi partecipanti accettino la finalità del progetto e non già l’una o l’altra policy in cui si sostanzia. È necessario partire da una Dichiarazione preliminare di intenti – sull’esempio della Dichiarazione Schuman del 1950 – che definisca i valori costitutivi, le istituzioni e le competenze dell’Unione politica, insieme al principio fondamentale che ogni decisione non sarà più vincolata all’unanimità. Il premier Draghi potrebbe utilizzare i pochi mesi prima delle elezioni della prossima primavera per mettere la sua reputazione europeista al sostegno di questa iniziativa, proponendo una nuova “Conferenza di Messina” (1955) per avviare l’Europa politica.

Autonomia strategica

La Conferenza dovrebbe definire le priorità del progetto (lo scopo del Political Compact), senza perdersi nella miriade dei dettagli e dei problemi. In materia di sicurezza, occorre chiarire il rapporto con gli Stati Uniti e la Nato – un rapporto che deve essere di leale complementarità, e non di opportunistica acquiescenza – e quindi le relazioni da sviluppare con gli altri giocatori globali, dalla Cina all’India, all’Africa, ai Paesi del Mediterraneo. La politica di sicurezza dovrà riflettere una visione europea, non già essere il minimo comune denominatore dei singoli interessi nazionali (come finora è avvenuto). In materia di energia, occorre realizzare gli impegni, già presi ma sempre disattesi, per la creazione di un mercato europeo del gas e dell’elettricità, iniziando dal completamento delle interconnessioni tra i mercati nazionali dei paesi coinvolti e di un sistema comune di approvvigionamento e stoccaggio. I rapporti con i Paesi esportatori di petrolio dovranno diventare parte della politica estera comune. In materia di politiche di bilancio, l’idea di Macron di un fondo comune per gestire l’impatto economico e sociale della crisi energetica deve essere urgentemente rilanciata, perché il problema rischia di destabilizzare politicamente le nostre società già molto provate dalla crisi pandemica. Quel fondo comune deve diventare il nucleo della futura capacità fiscale senza la quale l’Europa politica non potrebbe rispondere alle sfide storiche che ha di fronte. Se l’Italia vuole essere protagonista di questa iniziativa, è cruciale che il governo italiano si presenti alla discussione con un programma di stabilizzazione del nostro debito pubblico, con sistemi di monitoraggio e di enforcement che superino i difetti di credibilità dell’attuale Patto di stabilità e crescita.

Il percorso

L’iniziativa per l’Europa politica non è finalizzata ad escludere, ma a differenziare. Essa non può rimanere prigioniera della politica dei veti alimentata dagli attuali trattati. Le formule per promuoverla possono essere diverse. Ad esempio, potrebbe basarsi su un accordo politico, una sorta di trattato tra i Paesi promotori che preveda un quadro istituzionale e normativo capace di decidere a maggioranza, con un ruolo cruciale del Parlamento europeo. I rapporti con gli altri Paesi dell’Ue non interessati all’iniziativa potrebbero continuare a basarsi sugli attuali trattati, così come si potrebbe pensare ad associare in un’area più larga, di cooperazione economica e di sicurezza, i Paesi candidati all’adesione. L’Italia può svolgere un ruolo determinante nel rilanciare il progetto dell’Europa politica. Dopo tutto, siamo il Paese in cui essa è idealmente nata. Come ha detto il premier Draghi ieri a Strasburgo, «il quadro geopolitico è in rapida e profonda trasformazione. Dobbiamo muoverci, muoverci con la massima celerità».

(Questo articolo è nato dal dibattito svolto all’interno dell’associazione EuropEos)

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