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Per la marca torna centrale l’ecosistema dei contenuti

Lorenzo Sassoli de Bianchi, Presidente Upa, racconta l’evoluzione di un mercato che fa i conti con una contemporaneità che bussa alla porta di coloro che disegnano le nuove strategie di marketing

di Giampaolo Colletti

Le abitudini dei consumatori, lo studio di Teleperformance

2' di lettura

«In un contesto di alta inflazione e di incertezza economica non sarà facile difendere i margini dei prodotti, ma l’investimento sui brand è una delle poche leve per cogliere ogni elemento di ripresa del contesto. Oggi i consumatori stanno attribuendo alle aziende un ruolo ben più ampio del passato, vogliono diventare protagonisti della costruzione della marca e ne valutano con attenzione l’impatto, quello che viene definito brand purpose». Così Lorenzo Sassoli de Bianchi, Presidente Upa, racconta l’evoluzione di un mercato che fa i conti con una contemporaneità che bussa alla porta di coloro che disegnano le nuove strategie di marketing.

Come stanno evolvendo le marche?

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Investono quote di budget sempre più significative per comunicare purpose e brand activism, ossia iniziative concrete per la società. Rimangono due elementi ancora aperti: la capacità di misurare il ritorno degli investimenti e le risposte dei consumatori in un periodo di incertezza economica.

La partita si gioca ancora sui contenuti, rispetto a piattaforme e mezzi tecnici?

I contenuti e la creatività rimangono il cuore dell’advertising. Le aziende non vogliono rinunciare al livello di profilazione a cui si sono abituate col digitale – penso al precision marketing – e vogliono estenderlo alla connected Tv, ma dopo alcuni anni torna centrale il contesto editoriale in cui vengono fruiti i messaggi.

La creator economy è davvero un’opportunità?

Lo è già da alcuni anni. Abbiamo assistito ad una crescita esponenziale degli investimenti pubblicitari e ci stiamo rendendo conto che gli influencer non sono solo competitor degli editori nella raccolta pubblicitaria, ma abilitatori di un’innovazione positiva nell’editoria digitale, che sta producendo nuovi introiti per i player più coraggiosi.

Perché c’è necessità di misurare le performance?

Perché le misurazioni digitali – analytics, modelli di attribuzione – sono in grave crisi per le evoluzioni normative e tecnologiche. In futuro prevediamo l’aumento di importanza di misurazioni algoritmiche di brand lift, marketing mix e di efficacia delle campagne.

Però si guarda tanto al breve termine: effetto della crisi?

Nonostante la pubblicità sia lo strumento anticiclico per eccellenza, dall’inizio della pandemia molte aziende hanno dovuto ricalibrare gli investimenti in chiave più tattica. Però c’è un nocciolo significativo di aziende che è riuscito a tenere la barra dritta nella costruzione di marche solide e tutto questo dà fiducia sulla resilienza del mercato.

Quali previsioni per il futuro?

Nel 2022 non stiamo registrando cali significativi del mercato pubblicitario. Invece siamo un po’ preoccupati per quello che potrà succedere nel 2023 se perdurano le condizioni di oggi su materie prime ed energia.

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