Per non sbagliare fai come la Svizzera
Pragmatismo, moderazione e neutralità hanno sempre ispirato l'azione politica del Sultanato. Continuerà a essere così con il nuovo sovrano?
di Paola Stringa
2' di lettura
Cinquant’anni dopo il colpo di Stato incruento che ha avviato il Sultanato dell’Oman a «une révolution en trompe-l’oeil» (Marc Valeri), la successione di Qaboos prefigura scenari di cambiamento che potrebbero sorprendere, ancora una volta, gli osservatori internazionali. Classificato dalle Nazioni Unite come il Paese con lo sviluppo più rapido degli ultimi decenni, il piccolo Oman, pur defilato sullo scacchiere delle crisi mediorientali, è al centro delle attenzioni delle superpotenze mondiali, e la sua neutralità dipenderà dalla capacità di attrarre investimenti senza diventare preda degli appetiti energivori e logistici dei partner commerciali.
Il nuovo sultano, Haitham bin Tariq Al Said, ha dinanzi a sé sfide su diversi fronti. Sul fronte estero, i buoni rapporti multilaterali e l'appeal presso la business community globale potrebbero garantire il rafforzamento del ruolo omanita di mediatore anche in partite future; sul fronte regionale, un'alleanza strategica con gli Emirati del Nord potrebbe essere la carta vincente per una crescita alternativa; sul fronte interno, riformare il patto sociale con una società civile giovane e poliglotta non sarà affatto facile.
La stabilità assicurata da Qaboos con paternalistico autoritarismo scaturiva dalla natura di rentier State dell’Oman, connessa a una rendita petrolifera fluttuante e a una redistribuzione affidata al 2 o 3 per cento delle élite. Un modello fondato sulla valorizzazione funzionale del localismo e del tribalismo, utilizzati come fattori di coesione e, poi, come sapienti driver di posizionamento internazionale. «L’esigenza è tenere assieme consenso sociale e sviluppo in una società abituata alla rendita», spiega Annalisa Perteghella dell’Ispi.
«La principale sfida che Haitham bin Tariq Al Said dovrà affrontare è proprio quella interna, in quanto dovrà legittimarne l’azione a tutto campo. In politica estera, l’Oman dovrà tutelarsi, poiché tutti vogliono un avamposto sulle sue coste per contenere la Cina e sorvegliare l’Iran».
La linea tratteggiata per ora sembra quella della continuità e della coesistenza pacifica. E, secondo Kamran Baradaran, autore iraniano, esperto di relazioni nel Golfo, lo stesso approccio sarà portato avanti anche nei confronti dell’Iran. «Teheran ha aiutato l’Oman nel corso della guerra civile, un gesto scolpito nella memoria collettiva, che rappresenta una sorta di pietra miliare nel rapporto tra i due Paesi», racconta a IL.
«Per questo, oltre che per fattori di cooperazione economica sempre più stretta, l’Oman continuerà a spingere i negoziati per mantenere in vita l'accordo sul nucleare». Le precedenti deleghe del nuovo sultano (ministro del Patrimonio e capo del Comitato per le riforme) fanno presagire che, comunque sarà attuata, la nuova fase sarà una sintesi “glocal” tra tradizione e innovazione.
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