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Per piantagioni di caffè più resistenti al climate change

lly ha proposto una fondazione che finanzi la transizione con partnership tra pubblico e privato

di Micaela Cappellini

3' di lettura

Entro il 2050 il 50% delle terre coltivabili a caffè sparirà per colpa del cambiamento climatico. Insieme a miliardi di tazzine, siccità e alluvioni trascineranno via con sé anche milioni di coltivatori dell’Africa e dell’America Centrale, il cui reddito dipende esclusivamente dalla coltivazione delle fave di Arabica e Robusta. La produzione di caffè è prevalentemente nelle mani dei piccoli agricoltori: su circa 12,5 milioni di aziende agricole, il 95% non supera i 5 ettari.

Il 2050 sembra una data lontana, ma le prime avvisaglie del corto circuito sono già arrivate: «Oggi la domanda di caffè supera l’offerta disponibile - conferma Andrea Illy, presidente di illycaffè - e la carenza è dovuta proprio alle ragioni climatiche». Il prezzo ne risente di conseguenza: «In questi giorni il caffè è ritornato a 1 dollaro e 80 per libbra, dopo che era sceso a 1,50», aggiunge il presidente.

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Ma Andrea Illy guida un’azienda che dal 2013 è nella lista delle “World most ethical companies” e la sua preoccupazione va ben oltre le sorti del fatturato aziendale. Per sostenere i piccoli produttori del Sud del mondo, illycaffè paga già i suoi fornitori il 30% in più del prezzo più alto di mercato e li sostiene fornendo loro il knowhow produttivo più aggiornato. Un’azienda da sola, però, non basta. Per questo ieri Andrea Illy ha deciso di portare il dossier caffè fin dentro il Palazzo di vetro dell’Onu, a New York.

L’occasione è quella dell’ottava edizione dell’Ernesto Illy International Coffee Award 2023, che premia i produttori di caffè più sostenibili: insieme all’economista Jeffrey Sachs, grande esperto di sostenibilità nonché advisor del segretario generale dell’Onu, il presidente di illycaffè ha proposto la creazione di una World coffee foundation che, attraverso partnership tra pubblico e privato, finanzi la transizione delle piantagioni di caffè verso un’agricoltura a più alta produttività e più resistente al cambiamento climatico.

Un’operazione visionaria: «I Paesi più piccoli sono quelli più vulnerabili alle conseguenze del cambiamento climatico - spiega Andrea Illy - ma sono anche quelli che hanno la minore capacità finanziaria per far fronte a questi stessi cambiamenti. Si tratta, inoltre, di Paesi dove è facile incontrare ostacoli amministrativi e giuridici all’investimento. Per questo servono partnership pubblico-private: si tratterebbe di un investimento pre-competitivo, per salvaguardare la competitività nell’interesse di tutto il settore. Quello del caffè potrebbe diventare un settore portabandiera di un nuovo modo di fare sviluppo nel mondo». Un modo alternativo a quello, tipicamente coloniale, di investire direttamente nelle piantagioni. Ma quanti soldi servirebbero? «Occorrono investimenti nell’ordine di 10 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni - sostiene Illy - oggi invece nelle aziende di caffè si investono solo 350 milioni all’anno in sostenibilità: equivale a poco più di 30 dollari per ettaro. C’è bisogno almeno di triplicare questa cifra».

Per resistere al cambiamento climatico, le piantagioni di caffè devono investire nell’adeguamento delle pratiche agronomiche dotandosi di sistemi di irrigazione per proteggersi dalla siccità, aumentando il numero delle piante adombranti per ridurre la temperatura dei terreni, rinnovando le piantagioni stesse con varietà selezionate per essere più resistenti alla siccità e alle malattie portate dall’eccesso di pioggia. Altrimenti, il rischio è che la coltivazione del caffè migri verso latitudini o altitudini più elevate, lasciando intere aree del mondo senza reddito.

L’altro fronte di investimento è quello nell’agricoltura rigenerativa: «Si basa sull’arricchimento del suolo con carbonio organico, che favorisce la fertilità del terreno e la difesa dai patogeni e, di conseguenza, riduce al minimo il ricorso alla chimica», spiega Illy, che è un grande sostenitore di questa via. «Abbiamo cominciato ad applicare questo metodo nel 2019 e oggi il 70% dei nostri produttori lo utilizza».

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