Per la salute mentale è allarme risorse: servono almeno 2 miliardi in più e il personale va raddoppiato
Report Deloitte Consulting e Janssen. Occorre una cura da cavallo, nel contesto di risorse scarse per l’intero pianeta sanità preannunciato per la manovra
di Barbara Gobbi
5' di lettura
Un miliardo di euro in più solo per il personale. Un altro miliardo scarso per riorganizzare le cure a cominciare dal territorio e dalla telemedicina, per formare e riqualificare gli operatori e per informare la popolazione con campagne di comunicazione adeguate. È una cura da cavallo – nel contesto di risorse scarse per l’intero pianeta sanità preannunciato per la prossima legge di Bilancio - quella che servirebbe all’Italia anche solo per rimpolpare lo sguarnito ambito della salute mentale. Dove l’emergenza cresce ma a cui il nostro Paese dedica ancora oggi appena il 3,4% della spesa sanitaria a fronte di un 10% stanziato in nazioni ad alto reddito come Germania, Norvegia e Francia.
Aumentato il bisogno di cura
Alla Giornata mondiale per la salute mentale del 10 ottobre l’Italia si presenterà, anche questa volta, senza aver fatto i compiti. Perché nulla è cambiato, anche dopo la pandemia, tranne il bisogno di cura: cresciuto nell’ampio spettro dei disturbi psichici e psichiatrici del 25-30%, con punte drammatiche nelle fasce tradizionalmente deboli come i giovani, le donne e gli anziani. Mentre il ridisegno delle cure mentali sul territorio – incluso nel Dm 77 del 2022 in attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) - resta per il momento sulla carta. A lanciare il grido d’allarme su un’area della salute da sempre trascurata e diventata emergenziale con il Covid erano già stati gli esperti, a cominciare dalla Società italiana di psichiatria, così come i 91 direttori di dipartimento di salute mentale (Dsm) che in una lettera-appello a gennaio scorso avevano richiesto alle istituzioni di «destinare al massimo in un triennio oltre 2 miliardi aggiuntivi rispetto ai 4 miliardi attuali (il 3% del Fondo sanitario nazionale, ndr), al fine di raggiungere l’obiettivo minimo del 5% del fondo sanitario per la salute mentale».
Almeno 1,9 miliardi in più da trovare
Oggi una stima sovrapponibile – almeno 1,9 miliardi in più necessari nel triennio, oltre ai 4 miliardi che già sono sul piatto – è rilanciata nel rapporto “More” (Mental Health Optimization of Resources) messo a punto da Deloitte Consulting in collaborazione con Janssen Italia, alla cui stesura hanno partecipato società scientifiche, accademia, associazioni di pazienti, istituzioni e settore farmaceutico. Ma è una stima d’investimento al ribasso: il modello “More” ipotizza un incremento a tre anni della popolazione da assistere tra il 15% e il 23%. Percentuali basate sulla prevalenza degli utenti trattati nei Dsm secondo il Sistema informativo sulla salute mentale del ministero della Salute, a cui andrebbe sommato un altro 5% di sommerso, pari alla popolazione italiana che non accede ai servizi di cura. Potenzialmente quindi la cifra ulteriore necessaria a far fronte in un sistema ideale al fabbisogno di cure mentali potrebbe anche raddoppiare.
Tutte le priorità
Il report muove dalla ricostruzione del percorso dei pazienti con disturbi mentali e grazie a un questionario sottoposto ai responsabili medici dei Dsm - i cui risultati sono stati integrati da una raccolta dati da fonti istituzionali e pubbliche e dal supporto degli esperti - pone l’accento sugli ambiti cruciali per cogliere i gap e le esigenze di rilancio. Sotto la lente vanno dunque: personale sociosanitario; informazione, formazione e diagnosi precoce; trattamenti farmacologici e di altro genere; strutture dedicate ad assistenza e cura; uso della Digital Health. Ne esce un quadro con ampi margini di miglioramento, non solo sotto il profilo delle risorse ma anche dell’organizzazione dell’assistenza.
Per il personale serve un miliardo
Quella del personale, così come è per tutto il Servizio sanitario nazionale, è la nota più dolente quanto a numeri e competenze da recuperare: tra psichiatri, psicologi, infermieri, operatori sociosanitari, educatori, assistenti sociali, tecnici della riabilitazione e sociologi si dovrebbe disporre di 37.962 operatori mentre oggi la dotazione è di 25.791. Un gap di oltre 12mila professionisti, tale che per colmare questo ammanco e far fronte all’aumento dei pazienti, nel rapporto “More” si stima un +47,2% di unità di personale, con un investimento di 1 miliardo per il Ssn.
Più formazione e diagnostica
Non solo numeri in più: gli addetti vanno anche formati e riqualificati, come chiede il Piano d’azione europeo per la salute mentale. Potenziare gli investimenti in formazione del 30% (la percentuale di aumento stimata dal Report Deloitte) richiederebbe oltre 4 milioni in tre anni. Poi c’è il versante della popolazione generale e dei pazienti, effettivi o potenziali: da informare - anche per contrastare lo stigma della malattia mentale - e «fidelizzare alle cure», anche a fronte del dato drammatico secondo cui circa 200mila assistiti ogni anno sospendono il trattamento farmacologico mentre in 3.300 non si presentano agli interventi psicoeducativi o psicoterapeutici. Qui la stima è di 21 milioni da stanziare, tra esami di approfondimento diagnostico (da aumentare del 10% con 20 milioni) e campagne informative (1 milioni).
Prevenzione, indagine genetica e nuovi farmaci
Agire sulla prevenzione, garantire una presa in carico precoce dei pazienti e l’accesso, quando necessario, a nuove e migliori opzioni terapeutiche richiederà un salto di qualità e soldi freschi: a un maggior numero di interventi di psicoterapia il Servizio sanitario nazionale dovrebbe dedicare circa 500 milioni (+50% delle risorse oggi impegnate) mentre adeguare le cure farmacologiche del 30%, come indicato nel Report, comporterebbe un investimento di oltre 250 milioni. Con la premessa che molto c’è da innovare quanto a modelli e ricerca, invertendo il trend di crescente disinvestimento sui farmaci per la salute mentale. In ogni caso, «l’adeguamento della spesa - si legge nel report - dovrebbe seguire una logica d’investimento che punti a rendere autonomo il paziente, erogando il trattamento farmacologico in setting diversi dalle strutture ospedaliere come il domicilio e generando così risparmi per il sistema sanitario». Altra frontiera è l’uso di test genetici validati clinicamente, per l’identificazione del farmaco più appropriato grazie a una diagnosi personalizzata.
Adeguare i centri di cura
Centri di salute mentale (Csm) per l’assistenza diurna, Servizi psichiatrici di diagnosi e cura, servizi semiresidenziali e residenziali, posti letto negli ospedali: va schierata un’intera e diffusa rete di assistenza, oggi presente a macchia di leopardo e con grandi vuoti sul territorio nazionale. Secondo lo scenario elaborato dal Report Deloitte Consulting, il Ssn dovrebbe investire 100 milioni nel triennio solo per sostenere i costi di gestione del +24% di Csm da realizzare. Mentre per arrivare ai 5.885 posti letto dedicati alla salute mentale a fronte dei 4.333 servirebbero oltre 95 milioni di euro. Riadattare alla domanda di cure il numero delle strutture residenziali e centri diurni, tagliato tra 2016 e 2021 rispettivamente del 13,1% e del 17,3%, comporterebbe 500mila euro solo per la gestione.
Alla telemedicina servono 3 milioni
Grande scommessa del Piano nazionale di ripresa e resilienza e del ministro della Salute Schillaci, la telemedicina si ritaglia un ruolo importante anche nell’assistenza psicologica e psichiatrica, al netto dei “dubbi” di molti esperti sulla potenziale perdita della dimensione emotiva nel contatto da remoto. Oggi siamo poco più che all’anno zero, tanto che solo il 10% delle visite svolte in un anno dai centri di salute mentale sono a distanza. Ma la psichiatria di follow-up, le psicoterapie e le attività riabilitative da remoto sono un terreno su cui alcuni Dsm si stanno cimentando anche in vista di una maggiore sostenibilità dei percorsi di cura. Il target: aumentare il numero delle visite in telemedicina del 30% comporterebbe per il Ssn un investimento di almeno 3 milioni.
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