Per supportare il Made in Italy bisogna avere chiari gli obbiettivi di politica economica
Considerato che molte “eccellenze” nazionali sono sempre più oggetto di interesse da parte di operatori stranieri, sia finanziari che industriali, in quanto presentano in genere grandi potenzialità di crescita, un obbiettivo plausibile e condivisibile parrebbe esser quello ci cercare di mantenerle in Italia
di Fabio L. Sattin
3' di lettura
Ora che abbiamo il nostro “Fondo Sovrano nazionale” che ci facciamo? Considerato che molte “eccellenze” nazionali sono sempre più oggetto di interesse da parte di operatori stranieri, sia finanziari che industriali, in quanto presentano in genere grandi potenzialità di crescita, un obbiettivo plausibile e condivisibile parrebbe esser quello ci cercare di mantenerle in Italia. Ben vengano quindi le iniziative volte a contrastare (nel rispetto del libero mercato) questa tendenza a condizione però che ci sia consapevolezza delle importanti cifre in gioco.
La sola Valentino, ad esempio, già di proprietà di investitori stranieri, è stata valutata circa 6 miliardi di Euro da uno dei gruppi del lusso francesi i quali, come noto, capitalizzano centinaia di miliardi di Euro. I grandi fondi di private equity hanno oramai dimensioni di estremo rilievo, che si misurano in decine di miliardi di Euro, se non in centinaia.
Se non ci sono le condizioni per potere ragionevolmente contrastare tali ingenti risorse e trattenere in Italia le nostre aziende eccellenti, eventuali iniziative a supporto del “Made in Italy” dovrebbero necessariamente porsi obiettivi diversi e molto ben ponderati strategicamente altrimenti rischierebbero di essere inefficaci, o peggio, di contribuire a preservare la logica del “piccolo è bello” (che secondo molti è una delle principali cause di questa situazione) investendo, come è stato spesso fatto fino ad ora, ammontari limitati su società medio/piccole, per poi, quando sono più grandi, venderle magari al migliore offerente, spesso straniero, ottenendo un effetto esattamente contrario a quello voluto.Capiamoci: se tale attività venisse svolta con risorse totalmente private la cosa sarebbe del tutto lecita, comprensibile ed inevitabile. Ma farlo con il supporto di soldi pubblici, in modo “diretto” o “indiretto”, sarebbe (ed è) abbastanza paradossale, se l’obbiettivo fosse quello di stimolare il mantenimento sul territorio nazionale delle nostre eccellenze, grandi o piccole esse siano.
Eccoci quindi venuti al punto: se si vuole pensare a progetti o strumenti di investimento che impegnino soldi pubblici e volti a difendere e supportare il c.d. Made in Italy e - come logica conseguenza - il radicamento sul territorio delle nostre imprese, ma non si dispone - per ragioni comprensibili - di cifre molto consistenti (come nel caso del c.d. Fondo Strategico Nazionale del Made in Italy, che sembra avrà una dote di 2 miliardi di Euro da investire, direttamente o indirettamente, in - molte - partecipazioni di minoranza), un'ipotesi potrebbe essere quella di effettuare gli investimenti solo in società che aderiscano a un progetto di sviluppo e successiva quotazione in Borsa nel medio termine (auspicabilmente sul circuito Euronext), inserendo nell’accordo di investimento apposite clausole di riscatto o altri tipi di penalizzazione qualora questo non avvenga.
Si potrebbero inoltre studiare dei meccanismi per agevolare la quotazione in Borsa di queste società con qualche tipo di incentivo fiscale e/o intervento finanziario a supporto del processo di collocamento, magari costituendo, sempre nell’ambito di una “sana” logica di collaborazione pubblico/privato, un Fondo appositamente dedicato. Questa strategia di intervento, oltre che a puntare, nei limiti del possibile, sull’obbiettivo voluto, avrebbe anche come importanti “effetti collaterali”:
1. un “ragionevole e attuabile” meccanismo di sblocco delle partecipazioni di minoranza (cosa comunque necessaria, direi “obbligatoria”);
2. rivitalizzare in nostro mercato borsistico, oggi purtroppo sofferente.
Certo, in un mercato libero, non sarà facile porre vincoli in questo senso, e magari alla fine qualche società finirà ugualmente all’estero: ma almeno proviamo a fare qualcosa che vada nella direzione degli obbiettivi voluti. Altrimenti è certamente meglio non fare nulla con risorse pubbliche e lasciare che il mercato privato segua le sue logiche.
Ben vengano quindi tutte le iniziative volte al supporto delle nostre eccellenze nazionali e al rafforzamento (o mantenimento sul territorio) della nostra struttura industriale, ma è fondamentale che queste siano, nel rispetto delle normative comunitarie, efficaci, coerenti e funzionali al raggiungimento degli obbiettivi di politica economica che si vogliono ottenere e con una visione di sviluppo economico e sociale nazionale di lungo termine. E’ di questa visione, alla fine, di cui abbiamo un disperato bisogno!
fabio.sattin@unibocconi.it
loading...