Perché la Bce continuerà ad alzare i tassi
Il rialzo continuo dell’inflazione core indica che l’aumento del costo del credito, pur diffuso su tutta la cinghia di trasmissione, non ha ancora cominciato a «mordere»
di Riccardo Sorrentino
4' di lettura
È il momento più difficile, per la Banca centrale europea. Un altro rialzo è scontato. L'esito della riunione di marzo è stato da tempo preannunciato e le novità riguarderanno piuttosto le proiezioni macroeconomiche ed eventuali indicazioni – non da tutti auspicate, ma in realtà importanti – sui passi futuri. La nuova stretta di 50 punti base porterà il tasso di riferimento al 3,50%, un livello ancora inferiore all'inflazione attuale e alle indicazioni per il breve periodo ma superiore alle stime di inflazione di medio periodo. È giunto il momento di fermarsi?
Inflazione core in rialzo
La risposta è no. Con grande probabilità. L'inflazione di Eurolandia sembra calare, ma in realtà la parte che è immediatamente aggredibile dalla politica monetaria – la core inflation, che per la Bce esclude solo energia e alimentari non trattati – continua ad aumentare. Se, come sembra, la tendenza attualmente – in passato era l'opposto – è quella di una convergenza dell'inflazione complessiva verso l'inflazione core, che quindi “guida” la dinamica dei prezzi, c'è poco di cui essere soddisfatti. È vero che la politica monetaria agisce con un ritardo “lungo e variabile”, ma al momento non si intravvedono segnali di una moderazione.
La risposta della struttura dei tassi
Prima o poi arriveranno. La cinghia di trasmissione – che in realtà non è un meccanismo di precisione – della politica monetaria sembra aver risposto piuttosto bene. I rendimenti sono in rialzo, lungo tutta la curva. In termini reali sono ancora negativi e sicuramente è stata la parte a breve termine – che realizza e rispecchia la politica monetaria a reagire meglio, mentre la parte a medio e lungo termine – dopo un'inversione che non è necessariamente un segnale di recessione – appare piatta.
L'inevitabile rallentamento dell'attività e dell'inflazione – la “cura” del rialzo dei prezzi – ha sicuramente inciso. Il cambio effettivo dell'euro resta stabile ma su di esso pesano fattori, come le politiche monetarie dei partner, che non sono controllabili dalla Bce. Più interessante è allora il fatto che il rialzo ha toccato anche il costo del credito, ovunque in rialzo con l'Italia che è tornata la più “cara” (e questo spiega, insieme ai timori per il debito pubblico, gli allarmi lanciati nel nostro Paese). Val la pena di notare, però, che il costo dei credito è appena ai livelli del 2014, quando l'inflazione era decisamente più bassa.
Ancora robusta la crescita dei prestiti
La stretta, dunque, si sente su tutta la struttura dei tassi. Non sembra, però, che l'andamento dei prestiti alle imprese non finanziarie ne abbia molto risentito. I dati sono strutturalmente in ritardo, e non sono destagionalizzati, vanno valutati con grande cautela: ma se aveva colpito la flessione mensile di dicembre, piuttosto intensa rispetto alla storia recente dell'indicatore, a gennaio il credito si è ripreso e la crescita annua è rimasta robusta. È del resto noto che l'inflazione favorisce i debitori, non certo i creditori (come lo sono i lavoratori), che pagano ancora tassi reali negativi.
Inflazione salariale ai massimi
L'attività economica al momento non lascia quindi intravvedere – agli occhi dell'osservatore esterno, ovviamente, che non ha certo gli strumenti di analisi della banca centrale – rischi forti di un atterraggio duro. Un motivo in più per concentrarsi sulle aspettative di inflazione, che sono sempre la priorità della politica monetaria. Quelle di lungo periodo sono abbastanza sotto controllo, attorno il 2,22%. Non c'è rischio di disancoraggio. Preoccupano di più quelle che sono rilevate dalle richieste salariali che vengono soddisfatte. Non c'è ancora un rischio di una spirale prezzi-salari-prezzi, ma gli indicatori vanno osservati con attenzione. L'inflazione salariale, l'eccesso del costo del lavoro rispetto alla produttività, ha raggiunto livelli piuttosto elevati, visti soltanto durante la crisi del 2008, quando però era solo la produttività a calare. Il rischio, in questa fase, è che aumentino anche i salari.
Tensioni sui salari negoziali
L'andamento dei salari negoziati, che in Eurolandia sono piuttosto rilevanti – non mancano paesi dove esistono forme, per quanto limitate, di indicizzazione – mostra non a caso un aumento superiore all'obiettivo e, ancora una volta, ai massimi da molti anni. è la tragedia dell'inflazione, che rende un fenomeno in sé positivo – l'aumento delle retribuzioni, peraltro in misura non sufficiente a recuperare la perdita di potere di acquisto – in un possibile fattore di ulteriori problemi. Da monitorare, dunque.
Un gioco di delicati equilibri
Il cammino della Banca centrale europea diventa quindi sempre più difficile. Così come l'inflazione può accelerare bruscamente, così la stretta più portare a una frenata improvvisa e decisa. Disegnare il cammino futuro non è facile. È stata criticata la scelta di indicare in anticipo i passi successivi, quelli che hanno portato fino al rialzo di marzo, ma in realtà è sempre meglio dare indicazioni che riducano l'incertezza, senza essere vincolanti, anche se si corre il rischio di doversi correggere lungo la strada. Pesano più il silenzio o le indicazioni frammentarie che una stretta finita in anticipo. Le pressioni politiche però sono molto forti e la presenza di paesi molto indebitati – per esempio, tra i grandi, la Francia, per le sue aziende, l'Italia per il suo bilancio pubblico – ha spinto a una prudenza anche negli annunci. È un gioco di delicati equilibri. La conferenza stampa indicherà come si stanno muovendo.
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