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Le aspettative sono ben definite. La Banca centrale europea taglierà - raccontano - i tassi a settembre. La riunione di luglio dovrà quindi preparare questa inversione di marcia. Il presidente Mario Draghi continuerà a insistere sul fatto che il target di inflazione («sotto ma vicina al 2%») va interpretata come “simmetrico”, e questa innovazione potrebbe persino preludere - cosa che comunque appare prematura - a un riformulazione dell’obiettivo (che potrebbe diventare un semplice «2%») per evitare che venga considerato più un tetto che un bersaglio.
Attese sulla forward guidance
Draghi potrebbe anche - si spingono a pensare diversi economisti, come Marco Valli di Unicredit, Marchel Alexandrovich di Jefferies , Giuseppe Maraffino di Barclays e Oliver Rakau - rivedere la forward guidance. Attualmente indica che, almeno fino alla metà del 2020, i tassi resteranno ai livelli «attuali»; sembra probabile l’aggiunta «o più bassi». Qualche investitore era forse rimasto deluso, a giugno, perché la possibilità di un taglio non era ancora contemplata, nella formula della politica monetaria. Questa insoddisfazione non si è però trasformata in una cattiva interpretazione della volontà della Bce da parte dei mercati.
La flessione degli swap
Difficile, in ogni caso che la Banca centrale abbandoni la linea della prudenza. Alcune cose sono cambiate, da giugno. Il problema che i banchieri centrali si erano trovati ad affrontare era la forte flessione delle aspettative di inflazione di mercato di lungo periodo, misurate soprattutto dagli interest rate swap 5y-5y che misurano l’inflazione a cinque anni per i cinque anni successivi (si parla quindi del 2024-2029).
Aspettative ancora insoddisfacenti...
A metà giugno, questi derivati erano al minimo storico. Indicavano un’inflazione dell’1,13%, sempre più lontana dall’obiettivo del 2%. Neanche nel 2016, negli anni della low-flation, quando il rischio di una deflazione ’cattiva’ era forte, le aspettative erano state così basse (il minimo di quel periodo era stato all’1,25%). Dal momento che la politica monetaria non è altro che gestione delle aspettative, occorreva intervenire. Attualmente, gli swap sono in leggero rialzo, e quindi l’allarme si è ridimensionato, ma puntano a un ancora insoddisfacente 1,3%.
...ma l’ancoraggio sembra tenere
I banchieri centrali sanno bene però - e Benoit Coeuré lo ha recentemente ripetuto - che le aspettative misurate dal mercato possono essere alterate da altri fattori: secondo la Bce, per esempio, l’80% della flessione del 2019, come di quella del 2014, è legata ai premi per il rischio. Altre misure segnalano inoltre che l’ancoraggio al 2% tiene abbastanza (le aspettative stimate attraverso i sondaggi puntano all’1,8%). La stessa forte flessione dell’inflazione effettiva, complessiva e core, di maggio sembra essere stata solo una temporanea anomalia. L’andamento degli swap non impone dunque urgenza; ma richiede comunque attenzione. Anche perché le aspettative di più breve periodo, quelle misurate dagli swap 1y2y - per il periodo 2020-2021 sono per esempio anch’esse in flessione e questo calo, ha spiegato Coeuré, è «genuino».
Più accomodanti le condizioni finanziarie
La prudenza è resa possibile dal fatto che mercati, come spesso accade, hanno fatto in parte il lavoro della Banca centrale europea. Avendo colto correttamente la nuova fase della politica monetaria, i rendimenti di mercato sono decisamente e rapidamente calati, soprattutto quelle a breve termine (che pesano molto nella valutazione delle condizioni monetarie e finanziarie). Ha reagito poco, invece, l’euro: il cambio effettivo ha solo accennato, negli ultimi giorni, a una timidissima flessione (in questo senso le accuse di manipolazione di Donald Trump sono prive di ogni fondamento).
Inflazione salariale in ripresa
Non si può neanche dimenticare che qualcosa si sta muovendo in quelli che sono - secondo le analisi adottate dalla Bce - i lunghi e lenti vasi comunicanti tra economia reale e inflazione. I dati finalmente completi su produttività e costo del lavoro del primo trimestre mostrano che tra gennaio e marzo l’inflazione salariale, la distanza tra l’andamento del costo nominale del lavoro orario e quello della produttività, è ulteriormente e rapidamente aumentato. È sicuramente possibile che il trend si inverta, nei prossimi trimestri; ma al momento i dati disponibili danno un quadro solo incompleto.
I prestiti alle imprese «escludono» un qe
Tutto lascia dunque pensare che la Bce possa muoversi con grande prudenza senza correre il rischio di essere superata dagli eventi. In questo senso è da escludere che a luglio, e anche a settembre, possa dare indicazioni anche su una possibile ripresa del quantitative easing. I prestiti alle imprese, che sono l’obiettivo “intermedio” degli acquisti di titoli, continuano a crescere a buon ritmo, malgrado tutte le incertezze che gravano sull’economia. Mario Draghi, del resto, è stato chiaro: se si interverrà sarà sui tassi; anzi sui soli tassi sui depositi (attualmente al -0,40%), con qualche accorgimento per evitare effetti collaterali. Ogni altra mossa, sembra prematura.
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