Perché sui beni confiscati alle mafie si perde un’occasione
La cattura di Matteo Messina Denaro ha ovviamente richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica su un tema che, da sempre, rappresenta una grave patologia per lo sviluppo del nostro Paese.
di Carlo Borgomeo
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La cattura di Matteo Messina Denaro ha ovviamente richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica su un tema che, da sempre, rappresenta una grave patologia per lo sviluppo del nostro Paese. In questo clima di rinnovata attenzione al fenomeno delle mafie penso sia giusto richiamare il tema della valorizzazione dei beni confiscati, che, dal mio punto di vista, rappresenta una grande occasione mancata. Ho maturato questo convincimento grazie all’esperienza ultradecennale che ho compiuto, in materia, con la Fondazione Con il Sud, e che ho raccontato recentemente in Sud: il capitale che serve (Vita e Pensiero). Intanto qualche numero: sono oltre 25 mila gli immobili, attualmente confiscati e in attesa di essere destinati dall’Agenzia nazionale dei beni confiscati agli Enti Locali. Gli immobili già destinati agli enti territoriali sono quasi 20 mila. Eurispes quantifica in 32 miliardi a fine 2019 il valore complessivo di questi beni e attività. Circa 3,5 miliardi è la liquidità, mentre i beni mobili registrati (autovetture, natanti ecc.) valgono 4,3 miliardi. Il resto è rappresentato da immobili e attività economiche. È davvero impressionante la dimensione del fenomeno, che naturalmente è concentrato nelle regioni meridionali, soprattutto in Sicilia, Campania, Calabria, anche se ormai nel Lazio e in Lombardia cominciano a esserci numeri di una certa consistenza.
Tuttavia i numeri dei beni immobili confiscati ed effettivamente utilizzati sono molto deludenti. Alcuni sono utilizzati come sedi per le forze dell’ordine, per scuole e per altre istituzioni pubbliche. Circa un migliaio sono stati dati dai Comuni in concessione a enti del Terzo Settore per lo svolgimento di attività sociali. La stragrande maggioranza è inutilizzata. L’Italia ha la legislazione più avanzata al mondo in materia di confisca alle mafie, ma oggi quest’impianto normativo non regge più. Il sistema amministrativo di gestione dei beni che fa capo all’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati (ABNSC) non è in grado di governare un fenomeno che ha assunto dimensioni enormi. Vi sono disfunzioni e lentezze evidenti; non sempre i dati sono effettivamente affidabili e pienamente disponibili; i Comuni si vedono assegnare beni immobili ma non hanno le risorse per la loro ristrutturazione e valorizzazione; le amministrazioni giudiziarie delle aziende hanno tempi lunghissimi del tutto incompatibili con ragionevoli tentativi di recuperare le aziende stesse; la gestione dei beni mobili registrati sembra procedere senza criteri razionali; le somme confiscate vengono trasferite dall’ANBSC a un Fondo (FUG) istituito presso il Ministero di Giustizia e destinate a vari scopi.
Non si riesce a definire interventi che consentano la piena valorizzazione dei beni stessi: negli anni scorsi l’ANBSC, con un’iniziativa oggettivamente innovativa, ha pubblicato un bando per l’assegnazione diretta a soggetti del Terzo Settore di 1.000 beni immobili confiscati, senza tuttavia prevedere alcuna forma di sostegno economico. L’ente del Terzo Settore assegnatario del bene doveva trovare autonomamente le risorse per la ristrutturazione e la gestione. Cosa ovviamente proibitiva. Ma un errore analogo è stato fatto dai PON (Programmi operativi nazionali) Sicurezza dei precedenti cicli di programmazione dei Fondi strutturali: sono state assegnate risorse per la ristrutturazione dei beni senza prevedere alcun sostegno per la loro gestione. Scelta purtroppo confermata, più recentemente, dalla ministra per il Sud Carfagna che ha destinato i 300 milioni previsti per questa voce dal Pnrr esclusivamente al sostegno delle spese per la ristrutturazione fisica dei beni. Una clamorosa occasione mancata.
La vera vittoria dello Stato e delle comunità locali sulle mafie non è solo rappresentata dalla confisca, ma dalla piena valorizzazione dei beni come strumento e opportunità di inclusione sociale, di sviluppo e occupazione. Il grande valore simbolico delle confische sui territori, nel lungo periodo, può non essere sufficiente se non è accompagnato dalla prova concreta che quei beni vengono restituiti, nel senso più pieno del termine, alla comunità. Vi è anche un altro aspetto: le dimensioni dei beni confiscati ci dicono che essi, se ben gestiti, dal punto di vista finanziario, immobiliare, amministrativo, possono oggettivamente rappresentare una leva per lo sviluppo dei territori. Il tema dei beni confiscati non può essere più questione di generosi, appassionati e anche competenti addetti ai lavori. Non possiamo accontentarci di piantare alcune bandiere, di raccontare buone, ma eccezionali, pratiche. Abbiamo la legislazione più avanzata al mondo, dobbiamo adeguarla alla realtà con un sistema di gestione rigoroso, efficace ed efficiente.
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