Perché il calendario della crisi rischia di collidere con quello del Recovery plan
La Commissione europea attende di ricevere il testo definitivo del piano italiano entro metà febbraio: un ritardo può creare problemi non da poco
di Dino Pesole
3' di lettura
Da un lato i tempi (tutti da verificare) per l’individuazione e la conseguente formalizzazione della «quarta gamba», per estendere il perimetro della maggioranza dopo lo strappo di Italia Viva. Dall’altro il serrato calendario europeo. Bruxelles attende di ricevere il testo definitivo del Piano italiano di ripresa e resilienza al massimo entro metà febbraio, quando i regolamenti attuativi del Next Generation Eu, già approvati dalle commissioni Bilancio e Affari economici riceveranno il via libera dal Parlamento europeo. A quel punto il convoglio del Recovery Fund potrà cominciare a mettersi in moto. I tempi di risoluzione della crisi politica, non ancora risolta per l’esiguità della maggioranza numerica che si è evidenziata al Senato nel voto di fiducia al Governo, rischiano in sostanza di entrare in rotta di collisione con le scadenze da rispettare per non rischiare di perdere il treno degli aiuti europei.
Tempi stretti per riscrivere il Recovery Plan
L’indicazione che viene da Bruxelles è chiara. Lo ha esplicitato il vice presidente esecutivo della Commissione, Valdis Dombrovskis riferendosi peraltro non solo al nostro Paese: «C’è ancora molto lavoro da fare». Occorre definire «le stime dei costi» dei singoli progetti, gli obiettivi intermedi (al cui rispetto è strettamente collegata l’erogazione delle tranche semestrali del Recovery Fund) e quelli finali. Le somme vanno impegnate entro il 2023 e spese entro il 2026. E poi occorre uniformare il set di riforme alle Raccomandazioni-paese che la Commissione europea ha inviato nel 2019 con l’indicazione precisa dei settori in cui occorre intervenire.
Al tempo stesso (ed è un aspetto non certo secondario) nel Piano va indicata con precisione la struttura di coordinamento cui dovrà essere affidato il compito di pilotare l’intera operazione. Il tutto entro metà febbraio. Poi entro aprile è atteso il piano dettagliato, con annesso il relativo cronoprogramma. Occorre potenziare il capitolo delle riforme, poiché l’unica a essere dettagliata con precisione nell’ultima bozza è quella della giustizia. Restano da riempire le caselle di riforme decisive come quella del fisco, della pubblica amministrazione e della concorrenza. E il commissario agli Affari economici, Paolo Gentiloni, è stato altrettanto chiaro: «Penso che le autorità italiane siano consapevoli della necessità di rafforzare la proposta presentata finora. Servono specialmente due cose: un messaggio chiaro sulle riforme legate alle raccomandazioni Ue del 2019, e i dettagli sui tempi e gli obiettivi dei progetti».
Dall’elenco alla fase di realizzazione
L’aspetto relativo alla realizzazione delle riforme (da cui non si può prescindere essendo legate a doppio filo agli investimenti) preoccupa non poco Bruxelles. In tempi «normali» l’iter di discussione preliminare, approvazione e successiva implementazione di riforme strutturali degne di queste nome richiede tempi lunghi. E anche l’impatto in termini macroeconomici di riforme strutturali ben impostate a adeguatamente finanziate non è immediato. In ogni caso, ora occorre accelerare e per questo motivo la crisi politica va risolta e in fretta. In caso contrario, potrebbero insorgere problemi non da poco per gli adempimenti successivi, primo tra tutti l’emissione di bond europei da parte della Commissione Ue per finanziare sul mercato i 750 miliardi del Recovery Fund.
Investimenti: piano dettagliato e scadenze da rispettare
Anche sul fronte degli investimenti, occorre rispettare la tabella di marcia indicata dalla Commissione europea. Ogni progetto deve essere sostenuto da una stima (da aggiornare) sull’impatto atteso in termini economici e sociali, oltre che ambientali. Anche in questo caso, il cronoprogramma da inserire nel Piano dovrà essere rispettato. A rendere ancor più urgente la soluzione della crisi politica aperta con l’uscita di Italia Viva dal governo vi è infine la questione della governance del Recovery Plan. Quanto alla definizione della cabina di regia e dei soggetti istituzionali cui affidare il coordinamento del Piano, l’Italia è in ritardo. I principali paesi europei hanno già individuato come strutturare la regia dell’operazione. Se non vi è più traccia dell’originaria «cabina di regia» indicata dal Governo nella fase preliminare di messa a punto del Piano, ora è tempo di definire nel dettaglio le modalità di costituzione della struttura di monitoraggio e i soggetti cui dovrà fare capo. E anche in questo caso il sostegno di un’ampia maggioranza parlamentare è fondamentale.
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