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Perché ChatGPT piace tanto agli studenti (dell’ultimo banco)

Negli Stati Uniti è stato vietato l’uso agli studenti dopo numerosi casi di falsificazioni di tesi, saggi accademici e compiti da casa. Ma come si fa a scoprire se gli studenti “barano”?

di Luca Tremolada

Innovazione. “Etica dell’intelligenza artificiale”, la ricerca contemporanea che guarda al futuro

3' di lettura

Perché ChatGPT, il chatbot più popolare e tuttologo del web, non piace ai professori? Perché gli studenti possono usarlo per copiare, tanto che qualcuno ha già iniziato a vietarlo e altri sostengono che sia la fine dei compiti a casa. Nulla di veramente nuovo sotto il sole. Vi ricordate le proteste quando sono comparsi i motori di ricerca? C’era chi sosteneva fosse l’inizio della fine per l’istruzione perché gli studenti avrebbero smesso di usare i libri e si sarebbero gettati sulle tastiere per trovare risposte. In parte è accaduto. Ma il mondo non ha smesso di girare. Questa volta però gli studenti hanno intuito velocemente le potenzialità del mezzo. Non c’è voluto davvero molto poco per imparare ad addomesticare l’Ai conversazionale di OpenAi trasformandola nel secchione di turno, quello bullizzato che si mette a fare i compiti per te.

ChatGpt del resto si presta benissimo al ruolo. È un chatbot molto convinto di sè stesso - anche quando sbaglia - non si stanca mai ed è anche creativo. Cosa vuole dire? Che sa eseguire compiti, attività di studio, scrivere saggi o report o anche racconti e romanzi. Ti corregge se scrivi in inglese sgrammaticato ed è anche in grado di adeguare il suo stile al contesto. Per esempio gli puoi chiedere di scrivere un saggio sulla politica estera per l’università ma anche un tema per una classe di quinta elementare su un argomento a piacere. Il risultato è in certi casi davvero straordinario.

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Per molti, ma non per tutti

Ricordiamo che Gpt-3 non è ancora aperto a tutti, a volte tocca aspettare per avere l’accesso, e stanno pensando di metterlo a pagamento. Per utilizzare l'intelligenza artificiale Playground, è necessario creare un account sul sito web di OpenAI. Nulla di inaccessibile Lo strumento OpenAI Playground consente di iniziare una conversazione. Vuole dire che gli puoi chiedere di eseguire calcoli, risolvere problemi e scrivere tesi o saggi. I risultati sono a volte straordinari, il testo generato sembra scritto da un essere umano. Tanto che il dipartimento dell'Istruzione di New York ha vietato l'uso di ChatGPT dopo avere scoperto che alcuni studenti hanno falsificato le loro prove d’esame.

Capire se un testo è stato generato o meno da un'intelligenza artificiale è uno dei compiti più urgenti. E non solo per il mondo dell'istruzione. Ma anche in quello del lavoro. In primis per sdoganare le potenzialità della cosiddetta intelligenza artificiale generativa, ma anche per gestire le inquietudini ataviche di chi si è sentito e si sente in competizione con le macchine a prescindere da tutto e da tutti.

Una soluzione potrebbe arrivare dalla stessa OpenAi che sta lavorando a un marchio per rendere le sue “scritte” riconoscibili. Parallelamente stanno nascendo applicazioni e servizi studiati per riconoscere se un testo è umano o artificiale. Sono dei test, come in Blade Runner per smascherare i replicanti. Ma al posto di essere interviste sono software che analizzano come sono “costruite” le frasi e sulla base della loro complessità indicano la probabilità che provenga o meno da una AI. Esempi in questo senso sono Open AI Detector e Detect GPT. La prima è stato realizzato sulla base di una versione precedente di ChatGpt mentre il secondo è una estensione di Google Chrome. Entrambi indicano se il testo della pagina che stiamo visitando è stato generato o meno da un'intelligenza artificiale. Possono sbagliare. Ma serviranno - ed è un paradosso - algoritmi di machine learning per imparare a non sbagliare.

Riproduzione riservata ©
  • Luca TremoladaGiornalista

    Luogo: Milano via Monte Rosa 91

    Lingue parlate: Inglese, Francese

    Argomenti: Tecnologia, scienza, finanza, startup, dati

    Premi: Premio Gabriele Lanfredini sull’informazione; Premio giornalistico State Street, categoria "Innovation"; DStars 2019, categoria journalism

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