Perché chi governa non ha il diritto ma il dovere di vaccinarsi per primo
Il presidente della Campania De Luca si è sottoposto al vaccino e sono partite le polemiche. Eppure è fondamentale che in democrazia chi governa sia in buona salute
di Carlo Melzi d'Eril e Giulio Enea Vigevani
3' di lettura
Alte grida si sono levate da più parti per stigmatizzare «l’indecente governatore De Luca che ruba la fiala al prossimo», come titolava un giornale romano. Così, tra gli altri, commentava la capogruppo campana del Movimento 5 Stelle: «Mentre il presidente Mattarella ancora una volta mette il bene del Paese prima di sé stesso e dichiara che aspetterà il suo turno per il vaccino, come un comune cittadino, chi governa la Campania salta la fila e si fa vaccinare, mancando di rispetto a medici, infermieri e operatori sanitari, che rischiano le loro vite e che dovrebbero essere i primi della lista. Ma il comandante non dovrebbe essere sempre l’ultimo ad abbandonare la nave, dopo aver messo in salvo la vita di tutti?».
Non è solo questione di “dare il buon esempio”
A noi questo comportamento, al di là dei “modi”, non pare né un abuso né uno scandalo. Al contrario, ci pare che chi detenga cariche pubbliche di rilievo abbia non il diritto ma semmai il dovere di vaccinarsi il prima possibile. E non soltanto perché tale condotta potrebbe costituire un “buon esempio”, in un momento in cui le resistenze sembrano forti, come mostra ad esempio la bassa percentuale di operatori sanitari delle Rsa disponibile a vaccinarsi. In quest’ottica, rappresentanti di altre categorie possono, forse anche in modo più efficace, essere in grado di convincere, tramite la propria condotta virtuosa, un gran numero di persone a seguirle. Pensiamo a medici di una certa notorietà, il cui comportamento può essere rassicurante, tenuto conto della loro esperienza e conoscenza della materia o a personaggi dello spettacolo e dello sport, che hanno un seguito, magari più “irrazionale”, ma largo in amplissimi strati della popolazione.
Perché la salute di chi governa è importante
Vi è un’altra e più profonda ragione che milita a favore di una corsia preferenziale per chi detiene cariche pubbliche: in una democrazia matura e consapevole, chi governa deve salvaguardare la propria salute, e quindi oggi vaccinarsi subito, perché la continuità della sua azione è un interesse pubblico che lui per primo ha il dovere di preservare. La metafora del capitano funziona quando la nave è a forte rischio di naufragio. Qui, proseguendo nel paragone, è proprio il naufragio che si vuole evitare e a questo scopo serve un capitano lucido e di “sana e robusta costituzione”. Del resto, è noto che la salute di chi governa è un bene prezioso negli ordinamenti democratici, tanto che negli Stati Uniti chi si candida per le massime cariche suole rendere pubbliche le informazioni sulle proprie condizioni fisiche, per assicurare ai cittadini di essere in grado di svolgere il mandato. Il discorso vale, naturalmente, per tutte le persone che hanno alte responsabilità istituzionali, dai ministri ai parlamentari, dai rappresentanti delle regioni ai sindaci. Anche in questo frangente peculiare, il presidente del Consiglio e i ministri devono essere in condizione di partecipare a vertici internazionali e incontri continui, il parlamento deve potersi riunire e discutere in condizioni di piena libertà. Lo stesso vale per gli amministratori locali, che sommano sulle loro spalle molte e gravose incombenze.
Il retropensiero populista
Per questo inquieta - ma non stupisce, dopo anni di propaganda populista - il fatto che desti scandalo la precedenza accordata nella vaccinazione a persone con responsabilità di governo. Inquieta perché, ancora una volta, una simile reazione mostra come nell’opinione pubblica sia radicato un messaggio per cui, in fondo, chi ci rappresenta non stia adempiendo a una funzione essenziale che, come tale, non deve rischiare di interrompersi, ma è solo uno qualunque, di nessuna utilità, che per di più, in questo caso, approfitta del proprio potere. E, con le parole alte del cardinal Martini, «l’accidia politica porta a una neutralità appiattita senza più alcun criterio etico di riferimento. Il livello di allarme lo si raggiunge quando lo scadimento etico della politica non è neppure più percepito come dannoso».
La dignità della funzione politica
Quello che rende «amara l’anima», infine, è che dietro questo messaggio di discredito si svela la mancata consapevolezza, da parte degli stessi politici, della dignità della loro alta funzione. Ed è un po’ paradossale che ciò accada oggi, quando proprio scelte di natura politica, ora più che mai, sono destinate a incidere nella vita delle persone. In più, una simile impostazione è destinata a perpetuarsi: la delegittimazione continua alimenta e fa crescere una classe dirigente rassegnata, salvo rare eccezioni, alla mediocrità. Un ceto che fatica, pure in momenti tragici, a comprendere e rivendicare la centralità del proprio ruolo per il perseguimento del bene comune.Insomma, il continuo svilimento della politica rischia, quando c’è bisogno del nerbo dei don Chisciotte, di produrre sempre e solo l’apatia dei Sancho Panza.
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