ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùDopo Vilnius

Perché i disastri di Putin rendono più forte la Nato

Comunque finirà la guerra, il progetto putiniano di un nuovo ordine europeo è fallito

di Adriana Cerretelli

(Imagoeconomica)

3' di lettura

Scontato definire storico il vertice Nato di Vilnius svoltosi a meno di 30 km dal confine della Bielorussia, lo Stato cuscinetto che separa la Lituania da Russia e Ucraina. Sul collo il fiato cortissimo della guerra, il rischio che dilaghi in casa.

Sono passati poco più di 500 giorni dall’aggressione di Mosca a Kiev: più il tempo passa e più diventa evidente l’autogol con effetti irreversibili che l’“operazione speciale” di Vladimir Putin ha messo a segno ai danni suoi e del suo Paese.

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Instancabile predicatore della dottrina dell’accerchiamento, della subdola aggressività atlantica che consuma la Russia, è riuscito ad accerchiarsi da solo facendo il presunto gioco del nemico. Il capolavoro è emerso a Vilnius in tutta la sua grandezza da fatti inconfutabili.

Già l’anno scorso a Madrid, l’errore di valutazione putiniano era riuscito a cancellare in un baleno la convinta neutralità di Finlandia e Svezia con la richiesta di adesione alla Nato rivitalizzandone credibilità e ruolo di bastione della sicurezza europea. Quest’anno in Lituania il cerchio della sconfitta politica di Putin e del rafforzamento dell’Alleanza si è chiuso.

Il suo allargamento da 30 e 32 Paesi si è compiuto con lo sblocco del veto turco alla Svezia. Durissimo colpo a Mosca perché ora la Nato è in grado di controllare in quasi monopolio (7 degli 8 Paesi artici sono suoi membri) le chiavi di ingresso nella regione sempre più strategica del Mar Baltico e dell’Artico appunto.

Non bastasse, la Turchia di Erdogan allo schiaffo svedese ha aggiunto il riconoscimento all’Ucraina delle carte in regola per entrare nella Nato e la liberazione di alcuni capi del battaglione Azov suoi prigionieri, in barba agli accordi con Mosca. Sarà il tempo a dire se sia il segnale di un riavvicinamento di Erdogan all’Occidente per ragioni economiche e/o militari oppure di un relativo allontanamento da un leader indebolito dal tentativo di rivolta del gruppo Wagner. Comunque, pessimo messaggio per Mosca.

Di tutti i disastri che ha accumulato, il più devastante resta però la resurrezione di una Nato più larga, compatta e riorganizzata per rafforzare i dispositivi di difesa e deterrenza e la rapidità di risposta alle minacce più varie, con quella russa che torna al primo posto, quello delle origini.

Una Nato dalla proiezione geopolitica più ampia, Indopacifico nel mirino, stretta partnership con Giappone, Australia, Nuova Zelanda e Sud Corea invitati al vertice perché, dice il suo segretario Jens Stoltenberg, «è un’alleanza transatlantica ma la sicurezza è globale e le sfide tutte interconnesse».

Quella più vicina e impellente si chiama Ucraina. Che non diventerà a breve il 33mo membro del club perché la guerra non lo permette e comunque non rispetta ancora tutte le condizioni necessarie.

Però ieri a Vilnius è già stata di fatto cooptata in famiglia: debutto del Consiglio Nato-Ucraina, il più grande programma di assistenza dal dopoguerra per accelerare la transizione del suo intero sistema di sicurezza dall’era sovietica a quella atlantica, con massiccio addestramento e interoperabilità delle sue forze. Infine, riaffermazione dell’invito a entrare appena possibile. «Oggi l’incontro tra eguali, domani sarà tra alleati»: parola di Stoltenberg, presidente Zelensky a fianco.

A ulteriore supporto delle accresciute garanzie di sicurezza Nato, nuovi invii a Kiev di armi da Francia, Germania e Stati Uniti, programma di addestramento dei piloti di F-16, 11 Paesi coinvolti, in vista dell’effettiva fornitura in autunno.

Di più, anche i Paesi del G-7 in campo, ciascuno con aiuti militari da negoziare e nuove polizze di sicurezza.

Comunque si concluda la guerra, il progetto di Putin di un nuovo ordine europeo fondato sul suo sogno revanscista scattato con l’invasione dell’Ucraina, è morto prima di nascere.

La sua Russia fragilizzata rischia un pesante rapporto di vassallaggio con la Cina. Le eterne baruffe interne non bloccano la crescita di una Nato più forte e “ucrainizzata” con cautela, nella convinzione che pace, stabilità e sicurezza collettiva passino proprio da qui. Non poteva davvero essere più amara per lo zar la lezione di Vilnius.

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