Lavoro, perché donne, giovani e precari sono i più penalizzati dalla crisi
Da inizio pandemia circa 900mila occupati in meno. Il mercato del lavoro si è fermato: in calo anche i dipendenti stabili nonostante cassa Covid e blocco dei licenziamenti. A marzo c’è qualche contratto a termine in più, ma per la ripresa serve l’immediato decollo delle politiche attive e una formazione più performante
di Claudio Tucci
I punti chiave
3' di lettura
Dei dati provvisori, diffusi dall’Istat, sul mercato del lavoro relativi al mese di marzo spiccano tre indicazioni per il governo Draghi. La prima, è il calo di 38mila occupati permanenti, rispetto a febbraio, e -250mila su marzo 2020, nonostante il blocco dei licenziamenti in vigore nel periodo e l’utilizzo massiccio della cassa integrazione Covid-19. A marzo sono tornati a salire i contratti a termine, +63mila occupati, e questo mostra la prima indicazione: in un clima di incertezza diffusa e di difficoltà economiche le imprese che assumono cercano flessibilità, e per questo occorre superare, subito, tutte le rigidità normative, in primis quelle previste dal decreto Dignità, appena smussate dai recenti provvedimenti del governo.
A marzo: +34mila occupati, ma da febbrio -900mila
Così si legge il piccolo aumento di occupati, +34mila unità, registrato a marzo su febbraio (ci sono anche circa 10mila autonomi in più, persone magari che ci riprovano ad affacciarsi nel mercato del lavoro). Il piccolo aumento occupazionale di marzo, come detto, è tutto a tempo determinato, e riguarda solo gli uomini. Le donne continuano a perdere occupati, -17mila sul mese, -377mila sull’anno. Malissimo anche la fascia 35-49enni, quella centrale dell’occupazione: -49mila occupati a marzo, addirittura -316mila sull’anno, a testimonianza di un mercato del lavoro fortemente ingessato.
Male i giovani, nuovo rialzo del tasso di disoccupazione
A preoccupare e veniamo così alla seconda indicazione di policy che emerge dalla lettura dei dati provvisori dell’Istat, è il nuovo aumento del tasso di disoccupazione giovanile, siamo arrivati al 33%, +,1,1 su febbraio, +5,4 sull’anno. Questo dimostra come per i ragazzi si sia sostanzialmente bloccato lo sbocco verso l’impiego, a causa anche delle forti riduzioni alla scuola-lavoro e all’inesistente orientamento scolastico. È notizia di questi giorni, rilanciata da uno studio Inapp, che nonostante il crollo dell’occupazione, ci siamo migliaia di posti che rimangono scoperti, per assenza di competenze e candidati a vocazione “tecnico-professionale”.
Da inizio pandemia boom di inattivi
Guardando il mercato del lavoro da inizio pandemia, vale a dire febbraio 2020, e arriviamo così alla terza indicazione, emerge un quadro con più ombre che luci. Gli occupati sono quasi 900mila in meno e il tasso di occupazione è più basso di 2 punti percentuali. Nello stesso periodo, l’occupazione è diminuita per tutti i gruppi di popolazione, ma il calo risulta più marcato tra i dipendenti a termine (-9,4%), gli autonomi (-6,6%) e i lavoratori più giovani ( 6,5% tra gli under 35). Sempre rispetto a febbraio 2020, nonostante il numero di disoccupati risulti stabile, il tasso di disoccupazione aumenta di 0,4 punti e il numero di inattivi è ancora superiore di oltre 650 mila unità, con il tasso di inattività più alto di 2 punti. Si tratta di moltissimi scoraggiati. Qualcuno di questi si sta rimettendo in cerca di un lavoro.
Politiche attive e via le rigidità normative
In una fase bloccata come questa, è fondamentale far decollare subito le politiche attive, coinvolgendo i privati, e migliorare la formazione, scolastica e continua. È impensabile gestire le transizioni occupazionali e le spinte a innovazione e 4.0 solamente con misure emergenziali. L’obiettivo, di medio termine, deve essere anche quello di eliminare le rigidità normative che bloccano la buona flessibilità: i tempi di ripresa del mercato del lavoro, dopo una crisi di così vasta portata, non sono immediati. Ma se non si inizia a cambiar passo, rischiamo solo di nascondere la polvere sotto il tappeto.
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