«Get Brexit Done»

Perché ha vinto Boris Johnson e la disfatta del Labour di Corbyn

È dai tempi di Margaret Thatcher che i conservatori non vincevano in maniera così netta. Ed è dal 1935 che i Laburisti non perdevano in modo così disastroso

di Attilio Geroni

Elezioni nel Regno Unito: ora è davvero Brexit

3' di lettura

È dai tempi di Margaret Thatcher che i conservatori non vincevano in maniera così netta. È dal 1935 che i Laburisti non perdevano in modo così disastroso.

Lo splendido assist di Jeremy Corbyn e del suo manifesto elettorale che sembrava uscito da un film di Ken Loach hanno messo le ali a Boris Johnson e alla Brexit. Il Regno Unito ci lascerà formalmente il 31 gennaio. Nella sostanza undici mesi dopo, il 31dicembre 2020, quando scadrà il periodo di transizione concordato con l'Unione europea, a meno che Johnson non si convinca - bontà sua - che un prolungamento di questo periodo sarebbe utile e necessario.

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Un referendum pro Brexit
La maggioranza del popolo britannico ha confermato di volere Brexit, forse più per inerzia ed esasperazione che per religiosa e ideologica convinzione. Voleva uscire dal limbo nel quale si era auto condannata dopo il referendum e si è aggrappata all'unico leader politico che le tendeva la mano per tirarla fuori con un unico e semplice messaggio: Get-Brexit-Done.

In fondo non cercavano alternative perché non le avevano. Certo non nel Labour di Corbyn, del quale non si è mai capito se era favorevole o contrario all'uscita del Regno Unito dall'Europa.

Ci sono tante amarezze e incognite, comunque, dentro la vittoria schiacciante di Johnson, anche se il premier e leader conservatore conferma almeno la sue qualità istintive di animale politico. Incarna lo spirito del tempo, senza dubbio, e risponde perfettamente al desiderio degli elettori di una semplificazione estrema, ridotta all'osso, delle promesse elettorali.

Conservatori spaccati dietro il trionfo
Il suo partito, però, è lo stesso che ha fatto piombare il Paese in una profonda crisi d'identità, la stessa forza politica che dalle poltrone in pelle verde dei Comuni ha offerto ai concittadini, e al mondo, uno spettacolo triste e surreale: l'incapacità prolungata di venire a patti con l'esito di una scelta forse affrettata e inquinata da disinformazione – il referendum del 23 giugno 2016 – ma comunque sovrana.

Nonostante la vittoria, il Tory è un partito lacerato la cui fortuna maggiore è stata quella di avere come avversario l'evanescente Corbyn, capace di presentare un programma economico da internazionale socialista, paragonabile, storicamente, a quello proposto da François Mitterrand ai francesi nel 1981.

La disfatta di Corbyn
Il leader laburista non deve essersi accorto di quello che era accaduto proprio in Francia alle presidenziali del 2017, quando la vittoria di Emmanuel Macron aveva disintegrato in una sola notte il Partito socialista. E nemmeno ha fatto tesoro della lenta e inesorabile agonia della Spd, che da tempo ha perso, forse irrimediabilmente, il ruolo di seconda forza politica della Germania

Johnson ha costruito una vittoria sulle macerie della sinistra e sul desiderio popolare di lasciarsi Brexit, e con essa l'Europa, alle spalle. Ciò che gli sta davanti è comunque preoccupante.

La sfida con Bruxelles
Il premier britannico saprà gestire al meglio il tempo che resta per un accordo sulla nuova partnership economica con l'Unione? Undici mesi sono davvero pochi per creare un'area di libero scambio il più possibile aperta e ambiziosa, hanno già fatto sapere da Bruxelles. Sarebbe forse saggio e realistico prolungare il periodo di transizione, altrimenti c'è il rischio concreto che già nei prossimi mesi si torni a parlare di Hard Brexit, incubo che sembra non volerci abbandonare mai.

Non è sicuro che il premier conservatore voglia percorrere questa strada, ma non è escluso che la vittoria con ampio margine e la sicurezza matematica di Brexit possano indurlo a essere più realista e pragmatico nell'intento di garantire al Paese un'uscita la meno traumatica possibile.

La vittoria degli indipendentisti scozzesi
Il risultato elettorale di ieri non ha solo prodotto la vittoria schiacciante dei conservatori, ma ha rafforzato notevolmente il Partito nazionale scozzese (SNP) di Nicola Sturgeon e la possibilità di un secondo referendum sull'indipendenza. Difficile che Johnson possa concederlo, ma la spinta separatista di Edimburgo è destinata a diventare fortissima e a mettere in serio pericolo l'unità del Regno.

Una dinamica simile, si è sempre detto in caso di Brexit, potrebbe riprodursi in Irlanda del Nord, nonostante le garanzie contenute nell'accordo con l'Unione europea. La riunificazione delle due Irlande non è fantapolitica, ma trova già riscontro in alcuni sondaggi.

Johnson dovrà combattere duramente per preservare il Regno Unito. E paradossalmente, ma non troppo, gli sarà molto più difficile farlo una volta che avrà portato il Paese, come promesso, fuori dall'Europa.

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