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Alla luce del mondo interconnesso, instabile, mutevole e in totale divenire in cui ci troviamo, e nella consapevolezza di vivere un periodo storico in cui i fenomeni economici hanno una dimensione profondamente relazionale, basata sulle centralità delle informazioni e degli scambi e sulle logiche di piattaforma, ci appare incredibile che ancora oggi non esista e che non sia stata nemmeno codificata una figura professionale che abbia la responsabilità ultima sulla gestione strategica del capitale relazionale di un’impresa, quello che potremmo chiamare Chief Networking Officer.
Anche nelle più moderne imprese globali, infatti, è difficile trovare traccia di una struttura dedicata alla gestione del capitale relazionale dell’organizzazione. In genere lo sviluppo e la crescita delle relazioni sono lasciate alla buona volontà dei singoli, relegando il patrimonio relazionale ad asset individuale e non – come dovrebbe essere – di grande valore per l’intera organizzazione, con tutte le potenziali esternalità negative del caso. Inoltre, ogni struttura all’interno dell’impresa tende a curarsi le «sue» relazioni, in base allo spettro di attività che gestisce, mancando di conseguenza una visione e gestione unitaria, integrata e completa.
La figura organizzativa che più si avvicina al ruolo del Chief Networking Officer è quella del Chief Stakeholders Officer (CSO). Il ruolo di un CSO all’interno delle grandi aziende è quello di gestire e coltivare le relazioni con le diverse parti interessate dell’organizzazione: gli stakeholder includono clienti, dipendenti, azionisti, fornitori, comunità locali, governo e altri soggetti che possono influenzare o essere influenzati dalle attività aziendali. Naturalmente il ruolo del CSO può variare da un contesto all’altro in base alle dimensioni, al settore e alla cultura organizzativa. Tuttavia, l’obiettivo principale resta quello di coltivare relazioni positive e di valore con gli stakeholder per promuovere la sostenibilità e il successo a lungo termine dell’azienda.
Il CSO però non è più sufficiente per navigare al meglio i turbolenti scenari contemporanei e il Chief Networking Officer può essere inteso proprio come un «CSO potenziato». Partendo quindi dalla più classica (seppur scarsamente diffusa) figura del CSO e ampliandone ulteriormente il dominio di attività, si tratta di aggiungere, a quelle descritte, la necessità che il CNO possa organizzativamente dialogare con tutte le altre funzioni aziendali, divenendone primo e più importante collettore per tutto ciò che attiene lo sviluppo e la gestione delle relazioni. Inoltre, il CNO dovrà svolgere il ruolo di responsabile del processo di pianificazione strategica dello sviluppo e dell’uso del capitale relazionale, oltre che di coordinatore dei progetti e delle linee di azione che nell’ambito di quel piano sono stati messi a punto. Per fare tutto questo, diventa indispensabile che il CNO sappia utilizzare strumenti digitali adeguati, come le piattaforme software di CRM (Customer Relationship Management) e che si impegni in un dialogo continuo e strutturato all’interno di tutta l’impresa. Il dialogo organizzativo, nello specifico, ci porta ad aggiungere un ulteriore tassello per caratterizzare al meglio questa nuova figura: la possibilità di essere una prima linea, un vero e proprio C-level, per rispondere direttamente alla leadership aziendale ed essere, di conseguenza, adeguatamente empowered nel ruolo che si sta qui tratteggiando.
Le relazioni, infatti, sono uno degli asset rispetto ai quali i manager (e le persone in generale) sono più gelose e quindi meno propense alla condivisione, seppur all’interno della stessa organizzazione. Con un mandato diretto da parte del vertice, tale limite viene risolto a monte, grazie appunto alla leva gerarchica. Non si fraintenda, non è l’imposizione la chiave risolutrice, ci mancherebbe! Bensì un grimaldello per aprire la porta del dialogo tra l’ideale struttura di CNO e tutte le altre. Sarà poi doveroso compito dello stesso CNO adottare un approccio coinvolgente e basato sull’ascolto, il dialogo e il supporto concreto verso le attività e i progetti portati avanti dalle diverse strutture, così da essere velocemente percepito come un prezioso alleato piuttosto che come un competitor interno interessato a «fagocitare» tutte le attività relazionali, anche soltanto per fini di supervisione e indirizzo.
A livello di competenze, un CNO (e le risorse che operano all’interno della funzione da lui guidata) dovrebbe avere certamente forti skills comunicative, di ascolto e di empatia. Ancora, non può mancare un’ottima conoscenza del business e del mercato, per navigarne le pieghe e cogliere anche i cosiddetti segnali deboli, utili per impostare al meglio la strategia di sviluppo del capitale relazionale in coerenza con gli obiettivi strategici definiti. In più, un CNO ideale dovrebbe avere visione di insieme, «leggere» costantemente l’evoluzione dello scenario e possedere un mindset strategico. Infine, dovrebbe mettere a punto o disporre degli strumenti per misurare nel tempo i ritorni degli investimenti strategici che l’organizzazione mette in campo per lo sviluppo del capitale relazionale.
Molto ancora deve essere fatto per comprenderne al meglio le caratteristiche ideali, i perimetri di responsabilità, le modalità di inserimento all’interno della struttura organizzativa e di integrazione con i processi di business. Speriamo tuttavia che le nostre considerazioni possano stimolare il dibattito e contribuire a innalzare la qualità e la professionalità con cui le imprese gestiscono una risorsa così critica come il capitale relazionale.
*Dean di POLIMI Graduate School of Management
**Founding partner di Buono & Partners
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