Lavoro, perché l’Italia è tra i paesi Ue che valorizzano meno i laureati
La laurea favorisce l’ingresso nel mondo del lavoro? Dipende dal paese. Su scala Ue i laureati viaggiano su un tasso di occupazione a tre anni dal titolo pari all’85,5%, con picchi come il 94,3% in Germania e il 94,8% nei Paesi Bassi. In Italia ci si ferma al 62,8%
di Alberto Magnani
3' di lettura
La laurea accelera l’ingresso nel mondo del lavoro? Dipende dal paese. Su scala Ue i laureati viaggiano su un tasso di occupazione a tre anni dal titolo pari all’85,5%, con picchi come il 94,3% in Germania e il 94,8% nei Paesi Bassi. In alcuni mercati, però, l’attesa si spinge anche oltre i 36 mesi. È il caso dell’ Italia: tasso di occupazione dei laureati a tre anni dal titolo fermo al 62,8%, il valore più basso su scala Ue dopo la Grecia (59%) e a oltre 20 punti percentuali di distanza dagli standard europei. Il dato emerge da un’indagine dell’Eurostat, il braccio statistico della Ue, sull’occupabilità dei laureati tra i 20 e i 34 anni nel primo periodo successivo al conseguimento di un titolo accademico.
Lo standard europeo (85,5%), supera dello 0,6% i livelli del 2007, ma resta ancora al di sotto del picco dell’86,9% raggiunto nel 2008. Si parla del 22,7% in più rispetto ai livelli italiani, tra l’altro segnati anche da una discrepanza di genere: fra i laureati under 34, gli uomini hanno il 6% di chance in più di trovare impiego rispetto alle donne (66% contro 60,7%).
Laurearsi “conviene” anche in Italia...
Nella sua nota, Eurostat sottolinea che i giovani con un grado di istruzione terziaria registrano «tassi record di occupazione» e sono generalmente «meglio protetti» dai rischi di disoccupazione rispetto ai coetanei. L’Italia non fa eccezione, anche se è difficile mantenere lo stesso entusiasmo quanndo si dà un occhio ai numeri del suo mercato occupazionale (vedi sotto). Almalaurea, un consorzio che riunisce oltre 70 atenei su scala italiani, ha evidenziato nel suo report annuale sulla condizione occupazionale dei laureati che «all'aumentare del livello del titolo di studio posseduto diminuisce il rischio di restare intrappolati nella disoccupazione». Viceversa, la disoccupazione aumenta in maniera più vigorosa tra chi è in possesso dei titoli di studio più bassi, soprattutto nei periodi di crisi e fra le nuove generazioni: « Nel periodo 2007-201 tra i giovani di 15-24 anni in possesso di un titolo di scuola dell'obbligo il tasso di disoccupazione è salito di ben 25,9 punti percentuali, passando dal 22,2 al 48,1%- si legge nel report di AlmaLaurea - Tra i diplomati di età 18-29 anni l'incremento è stato pari a 16,9 punti, dal 13,1 al 30,0%. Tra i laureati di età 25-34 anni, invece, si è registrato un aumento di 8,2 punti, dal 9,5 al 17,7%». Il vantaggio competitivo della laurea, limitandosi al fattore lavorativo, si riflette anche nel cosiddetto premio salariale: il rialzo di retribuzione garantito dal conseguimento di un certo titolo di studio. Fatta una base 100 per lo stipendio di un diplomato di scuola secondaria di secondo grado, secondo una ricostruzione Ocse, un laureato percepisce l’equivalente del 138,5% rispetto a quel valore. Chi si è fermato alla scuola secondaria di primo grado si ferma al 77,8%.
...ma meno della media europea
Proprio lo stipendio, però, conferma le discrepanze tra Italia e resto d’Europa nella valorizzazione professionale (e retributiva) dei titoli di studio. Il premio salariale per i laureati italiani, come abbiamo visto stabile intorno al +40%, resta ben al di sotto di una media europea del +50% e ai picchi di quasi il +70% raggiunti da paesi come Germania. Sempre che si arrivi davvero a una busta paga mensile, considerando tempi di transizione fra università e lavoro capaci di scavalcare anche di anni la media continentale. Per semplificare, in Italia trovano impiego entro tre anni dal titolo poco più di 6 laureati su 10. Nel resto del perimetro Ue si arriva mediamente fino e oltre i 9 laureati su 10, nello stesso arco di tempo e a parità di titolo. La dilazione dei tempi è imputabile a un incrocio sfavorevole di fattori, a partire da quello più evidente: il vuoto di offerta per le professionalità con un grado elevato di competenze, affossato da difetti cronici del sistema italiano come la prevalenza di Pmi e investimenti minimi in un settore cruciale per i profili high-skilled, la ricerca&sviluppo. Secondo dati Excelsior già analizzati dal Sole 24 Ore , le posizioni di lavoro riservate a laureati nelle cosiddette «Stem» (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) viaggiavano intorno al 2% sulle oltre 440mila posizioni attivate a gennaio 2019, contro la sovrabbondanza di impieghi con un tasso di qualifiche modesto, dalla ristorazione alle vendite al dettaglio. Come spiega Ivano Dionigi, presidente di AlmaLaurea, il problema di fondo resta sempre lo stesso: un tessuto economico sprovvisto di sbocchi per chi ha una formazione più specifica, con un effetto-molla inevitabile verso l’emigrazione. «La mancanza di professionalità specifiche e soprattutto di lavoro dice - I dati AlmaLaurea mostrano che una quota sempre maggiore di giovani formati nel nostro Paese lavora oltreconfine dove le loro competenze sono maggiormente valorizzate e le retribuzioni sono più elevate».
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