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Perché l’Italia rischia di perdere la corsa all’efficientamento

di Giovanni Di Ieso

2' di lettura

La direttiva Ue sull’efficientamento a tappe forzate degli edifici residenziali in Europa è una misura sicuramente interessante. La definirei però distante dalla realtà per una serie di motivi.

Innanzitutto faccio riferimento ai tempi, troppo stretti e troppo poco strutturati perché possano portare, in Italia, a una riforma organica che accolga questa norma. Il 2030 è dietro l’angolo e, senza una costruzione ben definita e cristallizzata di norme, saremmo già in ritardo.

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Come secondo punto andrebbe finalmente approvata una ridefinizione del catasto e, soprattutto, una applicazione pratica dei regolamenti attuativi, per mappare realmente e in modo univoco gli immobili presenti in Italia (in termini di età, struttura, storia; su quelli storici dovremmo però intervenire in modo differente e questo è un tema che non colpisce tanti Paesi dell’Unione).

Bisognerebbe poi investire – con ingenti fondi europei in ottica di pianificazione pluriennale di almeno cinque anni – nella creazione di un vero e proprio distretto dell’edilizia. In tanti settori sono state create delle aree dedicate, con agevolazioni, alta formazione, sinergie incentivate tra le aziende. In edilizia non si è mai pensato a un riordino vero e proprio ma ci sono migliaia e migliaia di microimprese che, senza logica, senza pianificazione, senza competenze, portano avanti progetti
che poi muoiono o soffrono crisi di liquidità, crisi di gestione e, soprattutto,
che favoriscono il lavoro
in nero.

Sarebbe poi necessaria una costante e virtuosa formazione per il mondo edile, dando
vita a percorsi professionalizzanti per avere operai e worker manager specializzati, competenti e che possano elevare culturalmente questo mestiere.

Bisogna lavorare in qualità
non in quantità che, soprattutto per l’Italia, avrebbe poco senso.

Infine, sarebbe necessario prorogare in maniera durevole forme di agevolazioni fiscali a scaglioni (5-7 anni),
ma diverse dalla pasticciata e ormai già vecchia norma sul 110%, perché penso sia immorale finanziare più di quanto si ristruttura perché non c’è una compartecipazione del rischio da parte di chi vuole ristrutturare e si scade nei casi patologici letti sui giornali in questi anni.

Occorre una corretta compartecipazione dei cittadini
alla ristrutturazione dei propri immobili (con agevolazioni
che vanno dal 50% all’80% ad esempio in base
agli scaglioni di reddito). Questo genererebbe anche un percorso virtuoso di riduzione dei prezzi delle materie prime perché si eviterebbe il collo di bottiglia legato al poco tempo per realizzare tante ristrutturazioni, oltre al fatto
che aumenterebbe la concorrenza sul mercato per offrire prodotti migliori e più efficienti, lavorando ancora una volta sulla qualità.

Il fine della direttiva Ue è corretto, dobbiamo lasciare ai posteri un mondo il più possibile sostenibile affinché, con le tecnologie oggi disponibili si possa fare meglio di come abbiamo fatto noi. L’efficientamento energetico è il passo principale e anche più durevole rispetto all’energia rinnovabile che comporta poi costi di smaltimento di cui ancora non siamo pienamente consapevoli (vedi lo smaltimento delle batterie delle auto elettriche).

Il problema è che una direttiva senza una logica, un piano condiviso in base alle esigenze dei 27 Paesi in UE, non porterà nel 2025 le tanto sbandierate “emissioni zero”, ma solo disparità tra i Paesi e un indebitamento maggiore per quelli che, come l’Italia, non saranno stati in grado di colmare il gap nei tempi indicati.

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