Usa, perché l’ottimo dato sul lavoro equivale a un rialzo dei tassi Fed
A luglio le nuove busta paga sono cresciute di 528mila unità, oltre il doppio delle attese (250mila). Gli investitori hanno reagito vendendo azioni e soprattutto bond riportando anche i tassi attesi a marzo 2023 più in alto, dal 3,5% al 3,75%. Occhio però ad altri dati (Pmi e scorte) che indicano che l’inflazione potrebbe presto rallentare. Nel mezzo gli investitori sono combattuti
di Vito Lops
3' di lettura
Le buone notizie non piacciono in questa fase agli investitori. La riprova è arrivata il 5 agosto alle 14.30, quando è stato pubblicato il dato sul mercato del lavoro negli Stati Uniti. A luglio le nuove buste paga al netto del settore agricolo (non farm payrolls) sono cresciute di 528mila unità, oltre il doppio delle 250mila attese e molto più del dato di giugno (398mila). Mentre la disoccupazione è rimasta invariata al 3,5%. Azioni e obbligazioni non l’hanno presa bene con vendite su tutta la linea. Il Nasdaq ha perso oltre un punto percentuale mentre i tassi dei Treasury a 2 anni si sono spinti fino al 3,25% e i decennali fino al 2,8% dando una spallata anche ai tassi dell’Eurozona (Bund in rimonta allo 0,95% e BTp nuovamente sopra il 3%).
La reazione dei mercati
Come mai? Perché un dato del genere - per quanto il mercato del lavoro sia notoriamente un lagging indicator (cioè fornisce dati sul passato che non offrono proiezioni sul futuro) -potrebbe spingere la Federal Reserve a ragionare in termini più aggressivi sul fronte tassi (il prossimo appuntamento ufficiale, il Fomc, è datato 21-22 settembre). Il dato sul lavoro dimostra che finora, nonostante un rialzo di 250 punti base orchestrato da marzo a luglio dalla Fed, l’economia statunitense si stia rilevando resiliente.
Ancora più importante sarà a questo punto il dato sull’inflazione generata a luglio che sarà pubblicato la settimana prossima, in data 10 agosto per la precisione. Gli analisti si attendono un calo dal 9,1% annualizzato rilevato a giugno all’8,7%, forti del contestuale rallentamento dei prezzi delle materie prime (il petrolio è sceso dai picchi di giugno a 120 fino 90 dollari al barile, ancor più forte il ritracciamento del rame seguito anche da tante altre commodities industriali ed agricole).
Si apre la partita dei tassi
Resta il fatto che dopo l’ultimo dato sul lavoro la partita tassi si è riaperta. I future sui Fed Funds scadenza marzo 2023 sono scesi dopo i non farm payrolls d’impeto di 20 punti base a quota 96,35 (scontando su quel livello un livello di tassi vicino al 3,75% rispetto al 3,5% atteso prima della pubblicazione dei numeri sul lavoro). Non è una caso che il 5 agosto sui mercati azionari i titoli più venduti siano stati quelli tecnologici, i più sensibili alle fluttuazioni dei tassi. Gli stessi titoli che hanno messo a segno un rimbalzo del 20% dai minimi di maggio andando proprio a scommettere con largo anticipo su un picco dell’inflazione (e in prospettiva una minore aggressività della Fed).
Va però ribadito che i dati sull'occupazione tendono ad essere in ritardo rispetto al ciclo economico. Non a caso tutte le più importanti recessioni sono scattate in concomitanza di picchi al ribasso della disoccupazione. Ci sono altresì dei dati più orientati al futuro e questi iniziano a mostrare delle crepe sulla capacità dell’economia statunitense di resistere ai colpi della Fed. Tra questi rientrano gli indici Pmi, sondaggi sui nuovi acquisti dei rispettivi addetti delle imprese private. Il Pmi composito (servizi e manifatturiero) di luglio è sceso a 47,7 punti, ben al di sotto della soglia dei 50 che delimita l’espansione da una contrazione economica. Inoltre non si può ignorare il tema dell’eccesso di scorte che hanno superato i nuovi ordinativi. In passato ogni qual volta c’è stato questo “sorpasso” si è assistito a un rallentamento che in alcuni casi è sfociato in una recessione. In conseguenza di ciò si sta facendo strada il fenomeno del re-stocking che porta le aziende a vendere a prezzi più bassi pur di liberare magazzini stracarichi.
Le tendenze per il futuro
Le trimestrali deludenti di grandi catene di distribuzione come WalMart e Target confermano questa tendenza. Così come per la stessa ragione Amazon, dopo il Prima Day del 12-13 luglio, potrebbe lanciarne un altro ad ottobre. Le scorte abbattono il Pil (la voce ha fatto registrare -2% nell’ultima rilevazione del Pil trimestrale e ha contribuito al -0,9% finale che difatti ha portato gli Usa in recessione tecnica). Inoltre le scorte sono deflazionistiche. Forse per questo i mercati da metà giugno hanno messo a segno un rimbalzo che da allora ha portato il Nasdaq a salire del 20%, l’S&p 500 del 12% e le Borse europee a ruota dell’11%. Nelle prossime settimane saranno i dati macro sulla crescita economica a dare la direzione ai mercati. Gli investitori (e la stessa Fed impegnata nella lotta all’inflazione) sperano che siano più brutti del previsto.
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