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Perché nel laboratorio delle banche centrali si lavora per creare subito una recessione

L’obiettivo è chiaro: dato che si combatte un’inflazione artificiale - creata da politiche monetarie e fiscali ultra-espansive per il post-pandemia - bisogna danneggiare la domanda aggregata in modo altrettanto artificiale

di Vito Lops

Fmi; peggio deve venire, recessione nel 2023, per l'Italia -0,2%

2' di lettura

Una lotta contro il tempo. Le banche centrali sono chiamate a contrastare l’inflazione affinché non diventi “appiccicosa”, non contagi tutti i settori della filiera economica, tantomeno i salari. E dato che trattasi di un’inflazione artificiale - creata nel laboratorio espansivo tanto monetario quanto fiscale del post-pandemia - va combattuta creando una recessione artificiale. Tra Fed e Bce, ancora più complesso è il lavoro della seconda, dato che dalle parti dell’Eurozona c’è da fare i conti anche con la guerra energetica.

La pressione del super-dollaro

Il bandolo della matassa c’è l’hanno però Fed e dollaro, la valuta con cui oggi vengono scambiate le commodities. Di conseguenza se il dollaro si rafforza per via di una Fed più aggressiva di altre banche, le altre aree importano meccanicamente più inflazione pagando di più queste ultime. Si inizierà a vedere la via d’uscita da questo circolo vizioso non appena i tassi Usa avranno trovato il livello “pivot”, quel picco di aggressività in grado di infliggere il colpo definitivo all’inflazione. A quel punto l’euro potrà respirare e la Bce potrà agire senza la pressione del super-dollaro.

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Il segnale dai tassi Usa

Nel frattempo i tassi Usa continuano ad aggiornare i massimi di periodo. Sono proprio questi tassi, letti su tutta la curva del tempo, ad indicarci che il conto alla rovescia per l’arrivo di una recessione artificiale è scattato. L’indicazione è arrivata questa estate dall’inversione sottozero dello spread 10-2 anni e sta trovando conferme nelle ultime ore con lo spread 10 anni - 3 mesi (ancor più predittivo di una debolezza economica alle porte) avvicinatosi a quota zero. La storia insegna che nelle ultime otto volte in cui questo secondo spread è sprofondato in territorio negativo, la recessione ha fatto capolino.

TITOLI USA E RECESSIONE
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Cosa annuncia l’inversione della curva

«Dal 1900 la curva dei rendimenti tra le scadenze a 2 e 10 anni si è invertita 28 volte e per 22 volte è stata seguita da una recessione - spiega Marco Casario, investitore professionista specializzato in strategie di macro-trading -. A inizio luglio lo spread 10-2 anni è diventato negativo e ha raggiunto livelli che non toccava dal 2001. Profondità e durata sono due aspetti cruciali per avere un segnale affidabile di una recessione. Ma diminuendo le scadenze otteniamo segnali con probabilità e precisione maggiori. Ed ecco quindi che l’avvicinarsi dell’inversione della curva tra le scadenza a 3 mesi e 10 anni non diventa solo un segnale di previsione di una recessione, ma anche di forte stress sul sistema finanziario e di bruschi rallentamenti economici. Perché se il rifinanziamento del credito a breve termine diventa proibitivo, e quindi i margini delle banche sono compressi, mentre i mercati già prezzano le scarse aspettative di crescita a lungo termine e la Fed alza i tassi e fa quantitative tightening, allora - conclude Casario - il motore economico rallenta effettivamente e si sviluppa un spirale negativa».

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