Perché non è il momento di allentare le sanzioni contro la Russia
Uno studio dell’università di Yale evidenzia come l’economia di mosca stia subendo pesanti contraccolpi
di Giorgio La Malfa
4' di lettura
Nella risposta decisa dalla Nato e dall’Unione europea all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina, le forniture di armi e le sanzioni economiche sono state concepite come parti di un’unica strategia volta a bloccare l’attacco di Putin e a obbligarlo a sedersi al tavolo delle trattative. Si tratta di un complesso di misure che escludono l’impegno diretto delle forze militari dell’Alleanza occidentale e dell’Unione europea, ma che hanno, per il resto, le caratteristiche di un’azione di forza.
Gli invii di armi dovevano evitare il collasso dell’esercito ucraino e impedire che in pochi giorni ci si trovasse di fronte al fait accompli della sostituzione delle istituzioni legittime di Kiev con un governo fantoccio. Questo per ora è avvenuto.
L’obiettivo di Vladimir Putin di un blitz militare breve ed efficace è clamorosamente fallito.
La situazione militare sul terreno appare stabilizzata, anche se è difficile dire se si tratta di uno stallo militare vero e proprio, di una pausa russa prima di una nuova offensiva o al contrario della premessa di un’efficace controffensiva ucraina. Ma lo stallo militare non basta. Per obbligare Putin a fermare la guerra e andare a un tavolo di trattative bisogna che egli si trovi di fronte a una difficoltà obiettiva di far funzionare la macchina bellica per la mancanza di componenti essenziali o per una sostanziale impossibilità a finanziare i costi di una guerra prolungata.
Questo l’obiettivo delle sanzioni.
Vale la pena di sottolineare che esse non sono state concepite come una ritorsione per l’azione russa, come fu a suo tempo per l’annessione della Crimea, cioè come un prezzo da far pagare per una violazione del diritto internazionale.
In questo senso la parola “sanzioni” è parzialmente ingannevole.
Si tratta di misure economiche volte a forzare la Russia a cessare il conflitto.
Se esse non sono efficaci o lo sono solo parzialmente, la guerra è destinata a prolungarsi. Deriva da questo la domanda se le sanzioni economiche contro la Russia decise all’indomani dell’invasione dell’Ucraina si stiano rivelando efficaci.
A questa domanda non vi sono risposte ufficiali da parte della Nato e dell’Unione europea che non comunicano le informazioni sugli effetti delle sanzioni di cui probabilmente dispongono attraverso i servizi d’intelligence. Le risposte sono affidate agli istituti di ricerca il cui compito è reso più difficile dal fatto che, all’indomani dell’inizio del conflitto, la Russia ha cessato di pubblicare molti dati statistici che consentirebbero di valutare direttamente la maggiore o minore efficacia delle sanzioni. L’elenco delle fonti statistiche venute meno è lungo.
Comprende quelle sul commercio internazionale e in particolare i dati sulle importazioni e sulle esportazioni; i dati mensili sulla produzione di petrolio e di gas; i movimenti di capitale in entrata e in uscita; i dati sulla base monetaria creata dalla banca centrale; i dati sui voli e sul traffico aereo nonché numerosi dati di carattere finanziario.
Le valutazioni sull’efficacia delle sanzioni sono quindi affidate a fonti non ufficiali e alla raccolta di indizi indiretti. Le conclusioni possono essere pienamente attendibili, ma possono anche contenere valutazioni arbitrarie. Con questo caveat, vale la pena di riferire le conclusioni di uno studio reso noto di recente da un gruppo di ricercatori dell’Università di Yale coordinati dal professor Jeffrey Sonnenfelt della Yale School of Management.
Il documento di una settantina di pagine più allegati è liberamente consultabile sul sito https//ssrn.com/abstract=4167193.
La conclusione cui perviene l’analisi è che – contrariamente a una sensazione abbastanza diffusa nell’opinione pubblica che le sanzioni abbiano inciso molto poco sulla Russia e abbiano invece comportato costi molto pesanti per l’Occidente – le misure adottate si stanno rivelando molto efficaci e stanno colpendo l’economia russa in modo drammatico, sia compromettendo la funzionalità di molti settori produttivi, sia peggiorando il tenore di vita della popolazione. Se così fosse, la capacità di Putin di condurre la guerra dovrebbe essersi fortemente ridotta.
Il Rapporto sostiene che in questi mesi la chiusura delle operazioni russe da parte di circa mille imprese occidentali ha inciso drammaticamente sul sistema produttivo ed è destinata a provocare una flessione del 40% circa del reddito nazionale per il 2022.
Le altre principali conclusioni sono le seguenti:
Come effetto congiunto delle sanzioni e dell’abbandono da parte delle società straniere, la posizione della Russia come Paese esportatore di materie prime si è deteriorata in modo molto profondo rendendola oggi molto debole e costringendola a tentare una difficile riconversione verso i Paesi dell’Asia;
Per quanto il sistema delle sanzioni non sia rigorosissimo, in questi mesi le importazioni russe sono crollate. In particolare Mosca ha difficoltà a procurarsi alcune componenti indispensabili, parti di ricambio e tecnologie, tanto da registrare evidenti scarsità d’offerta in molti settori;
Nonostante le dichiarazioni di Putin sull’autosufficienza dell’industria russa e sulla sostituzione delle importazioni, l’attività industriale in molti settori è praticamente ferma; i prezzi dei prodotti finali stanno crescendo visibilmente e si manifestano segnali di grave insoddisfazione dei consumatori;
Putin sta utilizzando massicciamente il bilancio dello Stato per sostenere l’economia. L’effetto è che per la prima volta da molti anni, il bilancio chiuderà in deficit (per almeno il 2% del Pil) e il governo dovrà utilizzare i fondi di riserva accantonati in questi anni a fronte delle esportazione di gas e di petrolio;
L’attivo valutario estero che all’inizio del conflitto superava i 600 miliardi di dollari, sta rapidamente decrescendo. Metà circa di questi fondi è stata bloccata dalle sanzioni, mentre per far fronte agli acquisti in questi mesi le riserve sarebbero diminuite di 75 miliardi di dollari circa. Ovviamente a questo ritmo presto la Russia esaurirebbe le riserve patrimoniali.
Pur con le riserve cui abbiamo accennato, a chi scrive queste conclusioni appaiono solide, tanto da sottoscrivere la considerazione con cui si chiude il Rapporto e cioè che se l’Occidente mantiene ferme le sue posizioni il futuro economico della Russia è segnato. Non è quindi il momento di avere esitazioni o incertezze.
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