Perché non possiamo dimenticare questi film del 2018
di Cristina Battocletti
3' di lettura
Negli anni 70 Ron Stallworth (John David Washington), poliziotto afroamericano di Colorado Springs, già infilitrato nei movimenti di protesta nera, decide di compiere la stessa operazione di spionaggio con il Ku Klux Klan locale. È così bravo nel fingere un impeto razzista provocatorio e violento che presto diventa leader del gruppo. Solo al telefono naturalmente, perché quando deve presentarsi di persona lo fa attraverso il collega di origine ebraica Adam Driver. Doppia beffa per un’organizzazione che si proclama anche antisemita. Ironico, divertente, pirotecnico come lo stesso regista, “BlaKkKlansman” ci mostra come la tematica del razzismo non riguardi solo l’America, ma anche l’Europa e casa nostra.
The Post di Steven Spielberg
Una signora dell’aristocrazia americana, Katharine Graham (Meryl Streep), figlia dell’editore del «Washington Post», che ha sempre “fatto la moglie” di un uomo cui ha lasciato la direzione dell’azienda di famiglia, un giorno del 1971 prende consapevolezza del suo ruolo e salva migliaia di vite di giovani soldati in Vietnam. Con la complicità del direttore del «Washington Post» Ben Bradlee (Tom Hanks) pubblica i pentagon papers, i documenti sulla guerra in Vietnam trafugati da Daniel Ellsberg, collaboratore del Dipartimento della difesa. Il loro contenuto dimostrava che Harry Truman, Dwight Eisenhower, Kennedy e Johnson sapevano che la guerra in Vietnam non poteva essere vinta, e che avevano mentito agli americani mandandone a morire decine di migliaia (52mila dal ’45 al ’75, oltre ad almeno 3 milioni e mezzo di vietnamiti). Sul tavolo, magistralmente affrontate dagli attori, questione di genere, verità storica, il connubio distorto tra politica e stampa
Dogman di Matteo Garrone
Prende spunto, ma solo spunto, da un fatto di cronaca, il delitto del Canaro: l’omicidio del criminale e pugile dilettante Giancarlo Ricci, avvenuto nel 1988 a Roma per mano di Pietro De Negri, detto er canaro. Marcello (Marcello Fonte) è un uomo gracile, con un viso antico e un’espressività rara, in cui un giorno, a suon di umiliazioni, si sprigiona la stessa forza bestiale con la quale ogni essere umano, anche il più mite, è obbligato a fare i conti. La potenza del film di Garrone sta nelle immagini pittoriche, che trasformano un fatto di cronaca in una favola noir. Garrone dimostra qui tutta la sua capacità visionaria e soprannaturale.
Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino
Ogni anno per sei settimaneLyle (Michael Stuhlbarg), archeologo, e Annella (Amira Casar) Perlman ospitano in un borgo rurale italiano un ricercatore, esperto di arte classica. È una forma di filantropia che la coppia, colta e poliglotta, esercita verso un giovane straniero per permettergli di lavorare con Lyle e di immergersi nella bellezza dell’Italia degli anni 80.
Liberamente tratto dall’omonimo romanzo di André Aciman (Guanda), sceneggiato da James Ivory con Guadagnino e Walter Fasano, racconta la storia d’amore tra il ricercatore americano Oliver (Armie Hammer) e il 17enne Elio Perlman (Timothée Chalamet), figlio della coppia dei colti ospiti . Non un film sull’omosessualità ma sul pudore e sulle soglie d’amore ed d’esperienza.
Lady Bird di Greta Gerwig
Gerwig analizza i meccanismi che imprigionano il passaggio dall’infanzia nell passaggio all’età adulta nell’America di oggi attraverso Christine (Saoirse Ronan), una studentessa di Sacramento, che nel mezzo di un nulla californiano sogna il minimalismo chic di NY. Christine, che si fa chiamare anche dalla madre Lady Bird, ha un’amica vera, Julie (Beanie Feldstein), troppo grassa per essere cool e vive dalla parte “sbagliata” della ferrovia, ha una parte in un musical sgangherato, è allergica all’ambiente cattolico che sembra circondare ogni aspetto della sua vita. Cerca di essere speciale, a partire dal colore dei capelli, ma poi coniuga il desiderio di protagonismo con la necessità di accettazione sociale e canalizza male il proprio bisogno di amore, rivolgendolo sempre verso le persone sbagliate. L’urgenza, che corre sotto traccia nella pellicola, è probabilmente autobiografica (la stessa Gerwig è di Sacramento), la rende universale e la sua bellezza sta nel restituire un’epoca in cui tutti sono stati più o meno ridicoli o hanno provato o sognato di essere diversi da quello che sono.
The shape of Water di Guillermo del Toro
Nell’ America 1962, in piena Guerra Fredda, avviene l’incontro tra una creatura marina fantastica, catturata dai servizi segreti americani durante la Guerra Fredda, e un’Amelie-Cenerentola, Elisa (Sally Hawkins), donna delle pulizie diventata muta dopo un trauma infantile. Elisa, in combutta con una spia sovietica, salva il mostro dai tanti volti, dio-taumaturgo e a volte bestia feroce, dalla gretta violenza benpensante dell’agente Strickland (Michael Shannon). Una favola noir subacquea che è anche un grande omaggio alla forza immaginifica del cinema. Fantasia confezionata con grande abilità, fa fluttuare lo spettatore assieme ai protagonisti di un mondo sommerso.
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