Opinioni

Perché la notizia del declino di re dollaro è una esagerazione

Una vera valuta di riserva poggia su un mercato dei capitali grande ed efficiente e sulla forza politica e militare

di Marco Onado

(AdobeStock)

3' di lettura

Si stanno combattendo due guerre parallele: quella sanguinosa scatenata dall’aggressione russa e quella finanziaria, meno visibile, ma ricca di implicazioni per il futuro assetto politico ed economico dell’economia globale. Il terreno conteso in questa seconda guerra è l’egemonia del dollaro che non è mai stata in discussione dalla fine della seconda guerra mondiale. Barry Eichengreen, autorità indiscussa su questo tema, per intitolare un suo libro in materia ha preso in prestito un’espressione («esorbitante privilegio») coniata da Valéry Giscard d’Estaing quando era ministro delle Finanze durante la presidenza di Charles de Gaulle: dato il ruolo del dollaro come valuta di riserva, gli Stati Uniti possono stampare moneta (e quindi spendere) senza avere proporzionali effetti sui prezzi interni. Egemonia del dollaro ed egemonia politica americana sono quindi due facce della stessa medaglia.

Sia il Fondo monetario sia l’Ocse hanno previsto un indebolimento della posizione del dollaro, ma non sarà un processo lineare e tanto meno privo di contraccolpi. Gli Stati Uniti considerano la supremazia del dollaro come una parte integrante del loro potere politico, militare e finanziario e la storia degli ultimi decenni ha dimostrato che non sono disposti a condividere questa posizione. John Connally –che fu il segretario al Tesoro di Richard Nixon, il presidente che sancì la morte di Bretton Woods – diceva cinicamente ai Paesi alleati: «Il dollaro è la nostra valuta e il vostro problema».

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Tout se tient, dicono i francesi. Il predominio delle banche americane nel sistema finanziario internazionale viene da lì e questo porta all’applicazione sempre più estesa di sanzioni finanziarie, come l’esclusione delle banche russe da Swift, cioè dal sistema nervoso degli scambi internazionali. Ma già prima le Nazioni Unite stimavano che un terzo della popolazione mondiale vivesse in Paesi soggetti a qualche restrizione imposta dall’esterno.

Le sanzioni hanno fatto un salto di qualità nel 2012, quando il sistema Swift venne utilizzato dagli Stati Uniti per verificare il rispetto delle sanzioni contro l’Iran. A quel punto un sistema gestito da una società privata nata per rompere il monopolio delle grandi banche americane è diventata la principale arma dell’egemonia globale degli Stati Uniti. Quando si dice l’eterogenesi dei fini.

La forza del dollaro è misurata fondamentalmente da tre quote di mercato: la percentuale nelle riserve delle banche centrali; quella nel commercio internazionale; quella nei mercati finanziari. Sotto tutti questi parametri, il dominio è incontrastato: l’euro si è subito assicurato il 20% delle riserve, ma quel valore è rimasto costante; c’è stata una maggiore diversificazione verso valute minori, ma la quota del dollaro si è solo ridimensionata dal 70 al 60 per cento. Anche se si riducesse in futuro come molti prevedono, rimane il fatto che una vera valuta di riserva fonda la sua posizione dominante su una combinazione di tre elementi, la forza politica, quella militare e quella che deriva da un mercato dei capitali grande ed efficiente. Cioè un trittico che solo gli Stati Uniti oggi possiedono.

Le sanzioni, e in particolare l’uso di Swift come arma, sono un fatto nuovo che può avere effetti a medio termine difficili da prevedere; la stessa Cina sarà molto prudente nel consentire alla Russia l’uso del suo sistema di pagamenti in alternativa a Swift. In ogni caso, la storia insegna che le sanzioni sono spesso un boomerang che si ritorce contro chi le ha applicate e già abbiamo visto gli effetti sulle banche europee (francesi, italiane, ma anche austriache) che non possono incassare crediti verso residenti russi. Come ha osservato Luca Fantacci, il blocco di Swift rischia di diventare una moratoria sui crediti verso la Russia, cioè verso un Paese che fino a qualche anno fa era stato corteggiato da mezza Europa, a cominciare dalle banche che erano felici di ricevere i depositi degli oligarchi e non facevano troppo le schizzinose sulle loro origini.

Il succo di tutto è che, come diceva Mark Twain della falsa notizia della sua morte, il declino del dollaro è un’esagerazione. Il che non vuol dire che non sarebbe auspicabile. Ma la vera alternativa sta in Europa, non a Oriente. Abbiamo solo la moneta unica, ma dal punto di vista militare (e quindi politico) siamo sempre al traino degli Stati Uniti. E il nostro mercato dei titoli continua a essere frammentato e regolato dai singoli Paesi. Qualche timida voce ha già detto che una guerra che si svolge in casa nostra richiede un salto di qualità nella politica europea nella direzione, si badi, che già Alcide De Gasperi auspicava. Speriamo non rimanga una vox clamantis in deserto.

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