Perché Pechino punta sulle infrastrutture degli altri
di Shang-Jin Wei
3' di lettura
Nel 2013, la Cina ha lanciato la Belt and Road Initiative, un ampio progetto pensato per sviluppare un’infrastruttura fisica e creare un trait d’union fra le politiche in più di sessanta Paesi di Asia, Africa ed Europa. Chi critica l’iniziativa teme che la Cina sia talmente determinata a espandere la sua influenza geopolitica per competere con Stati Uniti e Giappone, da arrivare a perseguire progetti poco sensati a livello economico. In realtà, se vengono assolte alcune condizioni, i progetti dal punto di vista economico hanno senso, eccome.
Come conferma un recente rapporto della Banca Asiatica di Sviluppo, molti Paesi coinvolti nella Belt and Road hanno un bisogno urgente di investimenti infrastrutturali su ampia scala, esattamente il tipo di investimenti che la Cina ha promesso. Alcuni Paesi come il Bangladesh e il Kyrgyzstan non hanno ancora reti elettriche decenti e questo sta ostacolando lo sviluppo del loro settore manifatturiero e soffocando la loro capacità di esportare. Altri Paesi come l’Indonesia, mancano delle infrastrutture portuali adeguate all’integrazione economica interna o al commercio internazionale.
La Belt and Road intende aiutare i Paesi a superare quegli ostacoli, fornendo loro l’investimento esterno per poter costruire porti, strade, scuole, ospedali, centrali e reti elettriche. In tal modo il progetto potrebbe assolvere la stessa funzione che aveva avuto il Piano Marshall americano dopo il 1945, universalmente riconosciuto per il suo contributo cruciale nel processo di ricostruzione e nella ripresa economica di un’Europa straziata dalla guerra.
Naturalmente, un investimento esterno non basta a garantire la riuscita del progetto. I Paesi destinatari devono anche intraprendere delle riforme fondamentali che aumentino la trasparenza e la prevedibilità politica, riducendo così il rischio di investimento. Le riforme saranno determinanti per un ritorno economico degli investimenti nella Belt and Road.
Per la Cina, gli investimenti della Belt and Road sono economicamente appetibili, soprattutto quando sono le aziende private cinesi a sfruttarli. Nel 2013, quando la Cina lanciò la Belt and Road, il Paese aveva accumulato 4mila miliardi di dollari di riserve in valuta straniera che fruttavano un bassissimo interesse (meno dell’1% l’anno). E anche le ripercussioni sulla divisa cinese erano negative, visto l’apprezzamento del renminbi nei confronti del dollaro, all’epoca.
In tal senso gli investimenti per la Belt and Road non sono particolarmente onerosi per la Cina, soprattutto se si considerano i potenziali vantaggi a lungo termine.
Il rapporto commercio cinese/Pil è maggiore del 40%, molto più elevato di quello americano, e questo in parte a causa delle infrastrutture carenti e di una inadeguata diversificazione fra i partner commerciali cinesi. Colmando tali carenze, la Belt and Road può portare a un aumento sostanziale del numero di partner commerciali e del volume del commercio cinese, a netto vantaggio di imprese e lavoratori.
Con questo non voglio dire che gli investimenti non saranno rischiosi per la Cina: il ritorno economico dipenderà dalla qualità delle decisioni commerciali delle aziende. In particolare, le imprese di Stato cinesi potrebbero imbarcarsi in progetti poco redditizi non essendoci l’efficienza fra le loro priorità. Ecco perché il processo di riforma delle imprese statali cinesi deve essere monitorato con attenzione. Se la Belt and Road Initiative è chiaramente dettata da obiettivi strategici, un’analisi costi-benefici dimostra che dietro il progetto c’è anche una forte spinta economica, così forte da chiedersi perché la Cina non lo abbia intrapreso prima.
Anche gli Usa e altri Paesi potranno beneficiare di un ritorno economico significativo. A dieci anni dallo scoppio della crisi finanziaria globale, la ripresa permane quasi ovunque debole ed esitante. Gli investimenti infrastrutturali audaci e su vasta scala possono imprimere alla domanda aggregata globale quello stimolo a breve termine di cui c’è tanto bisogno. Gli Usa vedrebbero crescere la domanda delle loro esportazioni, automobili, locomotive, aeroplani e attrezzature edili avanzate, oltre a servizi finanziari, contabili, educativi e legali.
Più a lungo termine, la nuova infrastruttura potrà ridurre le inefficienze logistiche abbattendo i costi degli input del processo produttivo, aumentando così la produttività e accelerando la crescita globale.
Se i progetti della Belt and Road rispetteranno gli standard ambientali e sociali, si potranno anche registrare notevoli progressi nelle grandi sfide globali come il cambiamento climatico e le disuguaglianze. Più Paesi aderiranno a questi progetti, maggiori saranno le probabilità di raggiungere quegli standard e maggiore sarà il ritorno sociale a livello globale.
In un’epoca in cui alcuni dei Paesi più importanti al mondo si stanno ripiegando su se stessi e parlano di barriere commerciali e di muri alle frontiere, il mondo ha bisogno di iniziative mirate che costruiscano ponti e strade, in senso letterale e figurato, iniziative come la Belt and Road.
(Traduzione di Francesca Novajra)
© Project Syndicate 2017
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