Societa

Perché il peso della pandemia schiaccia le donne

di Claudia Manzi e Sara Mazzucchelli

(Ricardo Ferrando - stock.adobe.com)

4' di lettura

Normalmente le donne in Italia svolgono una quota sproporzionatamente ampia di lavoro non retribuito: il 62% contro il 30% degli uomini, secondo il World Economic Forum, 2020. In questo momento in cui le richieste dei carichi di cura aumentano, si assumono anche la maggior parte delle responsabilità e ne stanno pagando il prezzo in ambito lavorativo. Costrette a ridurre l'orario di lavoro, sacrificando il proprio lavoro per la famiglia o incapaci di lavorare in modo efficace da remoto - il benessere delle donne lavoratrici e le loro prospettive nel mercato del lavoro ne risentono. È quello che emerge dal progetto di ricerca HOWCARE, che ha raccolto negli ultimi 12 mesi i vissuti faticosi, ma spesso anche pieni di speranza e resilienza di un gruppo di lavoratori e lavoratrici (308). “Mi sono sentita abbandonata… e con la ripresa la situazione non migliora. Noi donne mamme e lavoratrici senza aiuti perché i nonni vivono lontani o sono troppo anziani.” E ancora: “Sono disoccupata e in cerca di lavoro. Mio marito è artigiano. Esce la mattina alle 6 e rientra alle 19. Io sono immersa nella casa e nei figli 24 h su 24. DA MESI! nessun diversivo. Si impazzisce.” Le frasi che riportiamo sono lo sfogo/testimonianza che ci hanno generosamente lasciato due partecipanti donne.
I dati rilevano che la percezione del conflitto tra vita e lavoro è aumentata da Marzo 2020 a Luglio 2020 e non è diminuita neanche con l'apertura delle scuole a settembre. Il problema è che questo conflitto incide in maniera significativa sullo stress, ma anche sulla performance lavorativa.
Ma si può ridurre questo conflitto o famiglia e lavoro sono irriducibilmente destinate a combattersi?
Sembrerebbe che le istituzioni, ma anche molte organizzazioni lavorative, rispondano a quest'ultimo quesito abbracciando una visione dicotomica e essenzialmente conflittuale di questi due ambiti… pertanto se un genitore deve occuparsi dei figli gli devo per forza togliere tempo al lavoro (e dare i congedi parentali), se deve lavorare gli devo per forza togliere i carichi di cura (bonus baby-sitter). Vita lavorativa ed extra lavorativa come due ambiti conflittuali, che si può sperare solo di “conciliare”.
Il problema è che la pensano così anche moltissime donne in Italia. Avere un lavoro e una vita extralavorativa significativa e appagante, magari anche una famiglia, sono in conflitto: gli ultimi dati raccolti dalla World Value Survey ci dicono che il 51 % delle donne Italiane si dichiara d'accordo con l'affermazione “I bambini in età prescolare soffrono se la madre lavora”.
C'è quindi un irriducibile conflitto tra vita e lavoro? Il nostro libro “Famiglia e lavoro: intrecci possibili” vuole affermare proprio il contrario.
Nel pensiero psicoanalitico, ma anche in quello psicosociale, la definizione di un'identità adulta matura dipende dalla capacità che una persona ha di amare e di lavorare. In modo sintetico questa affermazione evidenzia il valore primario che queste due sfere (quella familiare, luogo della realizzazione degli affetti) e quella lavorativa (luogo della realizzazione professionale) assumono per la piena realizzazione della persona adulta. Molto spesso infatti - e in maniera quasi automatica - guardiamo le persone a noi vicine e misuriamo il loro benessere attraverso il doppio termometro della realizzazione che la persona ha raggiunto attraverso la propria famiglia e il proprio lavoro.
I nostri studi ci mostrano però che le condizioni culturali, sociali/relazionali e organizzative entro le quali le persone si trovano a costruire la loro vita adulta, influiscono sulla percezione di conflitto/ armonia e di vicinanza/separazione che abbiamo dei diversi ambiti della nostra vita.
È indubbio che in Italia gli stereotipi di genere e le prescrizioni che ne derivano - nonché l'assenza di una cultura di sostegno ai progetti di vita e familiari da parte delle istituzioni e delle organizzazioni non fanno altro che reiterare questa visione conflittuale.
Occorre uscire da questa logica, occorre ricordarsi che la vita e l'identità delle persone sono date da un intreccio, da una trama di fili che si intersecano nel formare un tessuto. Occorre comprendere che le persone non vivono per compartimenti stagni, e quello che accade dietro il monitor dei nostri smart worker non può restare ininfluente rispetto a quello che accade davanti al monitor.
Un nostro studio pubblicato nel 2019 nell'European Journal of Social Psychology lo dimostra chiaramente: sono i lavoratori che hanno intrecciato meglio la loro vita lavorativa con altri ambiti di vita e della loro identità che mostrano livelli maggiori non solo di benessere ma anche di engagement e performance. La fatica di dover tenere drasticamente separato l'ambito lavorativo e quello di vita ha viceversa dei costi importanti anche in termini di produttività lavorativa.
Questo è ancora più vero in questo periodo di pandemia. In uno studio in corso di pubblicazione abbiamo analizzato l'associazione di 4 importanti aspetti del vissuto con il livello di benessere personale, lavorativo e famigliare dei lavoratori con figli: il carico di lavoro, il carico di cura, le condizioni abitative (spazi di vita e di lavoro) e l'intreccio tra identità lavorativa e familiare. I risultati ci mostrano che quest'ultimo aspetto - l'intreccio tra identità lavorativa e familiare è quello risultato maggiormente associato con il benessere e la produttività.
Altri dati di ricerca mostrano ancora chiaramente che le organizzazioni lavorative che hanno un atteggiamento di supporto e di spinta verso la vita extra-lavorativa dei dipendenti sono quelle che hanno migliori performance lavorative.
Allora come sostenere le donne in questo momento?
Smettendo di vederle esclusivamente come “focolari della famiglia” o esclusivamente come forza lavoro. Una donna in Italia oggi non dovrebbe sentire di dover “sacrificare” la propria vita extralavorativa per tenersi un lavoro e, viceversa, non dovrebbe sentirsi in colpa nel dedicarsi ad una realizzazione professionale se ha famiglia.
Istituzioni e organizzazioni dovrebbero guardare a lavoro e famiglia come due obbiettivi prioritari e intrecciati e non proporre soluzioni rigide che pongano le lavoratrici ad un bivio: congedo parentale (e quindi sacrifico il lavoro per la famiglia) o bonus babysitter (sacrificando la famiglia per il lavoro)?
Ci sono casi virtuosi in questo senso. Il volume che abbiamo scritto ne documenta alcuni: organizzazioni che vietano di fissare riunione dopo le 18.30 (consentendo così a uomini e donne di prepararsi la cena in santa pace) che sostengono le scelte di vita dei dipendenti attraverso iniziative concrete (come call center per un aiuto nella gestione di familiari non autosufficienti o organizzando corsi sui problemi legati alla genitorialità e alla famiglia)… casi virtuosi che purtroppo sono ancora mosche bianche.

Università Cattolica del Sacro Cuore

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