Perché Peter Thiel, magnate pro-Trump, lascia la Silicon Valley per Hollywood
di Marco Valsania
5' di lettura
NEW YORK - Se ne va sbattendo la porta. Peter Thiel, luminare tech e parafulmine di polemiche per il suo credo conservatore e pro-Trump nella progressista Silicon Valley, ha deciso di fare i bagagli e trasferirsi da San Francisco a Los Angeles. E in valigia metterà anche i suoi investimenti: spostera' la sede della sua finanziaria e nei fatti abbandonerà buona parte del suo impegno nell'hi-tech. Compreso, seppur non subito, il suo seggio nel board di Facebook, dove siede fin dagli albori del 2005.
Silicon Valley troppo «di sinistra»
Il trasloco e la ritirata di un personaggio del calibro di Thiel dalla patria dell'innovazione americana non passano inosservate. A ragione: se la sua politica fa discutere, il suo acume da pioniere tecnologico e finanziario è a prova di dubbi. E le motivazioni addotte per il suo addio, stando alle indiscrezioni lasciate filtrare dai suoi confidenti, sono semmai di quelle destinate a provocare ulteriori shock. C'è, infatti, la prevedibile «frustrazione» di Thiel per quella che condanna come l'intolleranza dei radicali liberal di San Francisco verso la cultura e le opinioni che sposa.
Dal tech ai media
Ma c'è anche una motivazione assai meno scontata e più di business, che potrebbe scuotere i nervi di alleati e rivali: il giovane magnate - ha ancora solo 50 anni - sarebbe diventato sempre più pessimista sulle prospettive stesse del settore tecnologico americano nel quale ha costruito la sua fortuna. Un pessimismo aggravato da ciò che considera come lo spettro incombente di crescenti regolamentazioni che possano danneggiarlo o soffocarlo. Ora sarebbe pronto a barattare la sua nuova sfiducia nel tech con inedite scommesse invece in un universo dei media che giudica promettente, con approccio altrettanto poco convenzionale: lancerebbe una nuova voce conservatrice da una Hollywood a sua volta considerata fortezza pro-liberal e che vorrà farsi ascoltare in un universo mediatico nazionale già affollato di vecchi e nuovi protagonisti di destra. Detto e fatto però da chi vanta forzieri personali colmi di 2,6 miliardi, buoni per il 315esimo posto nella classifica dei super-ricchi di Forbes, quote in decine di startup e recenti scommesse vinte anche sulle cripto-valute: l'audience appare assicurata.
L’avventura di PayPal
Thiel è un personaggio insolito fino dalla biografia. Nato a Francoforte, ha cittadinanza americana, tedesca e oggi anche neozelandese. È salito alla ribalta come co-fondatore di PayPal. Siamo nell'ormai lontano 1998 quando diede i natali alla società di pagamenti elettronici che poi vendette con profitto a eBay quattro anni dopo, nel 2002, per la modica cifra di 1,5 miliardi di dollari. Il gusto delle scommesse non lo ha finora mai perso: nel 2008 fu tra i primi investitori nell'avventura spaziale di Elon Musk, la Space Exploration Technologies. E tra le sue iniziative d'affari non mancano quelle controverse ben al di là della politica: è tra i grandi finanziatori di sogni fantascientifici di città galleggianti sugli oceani. Come tra i celebri sostenitori di ricerche sul prolungamento della vita e «l'immortalità». Il successo forse più eclatante lo ha ottenuto con una tecnologia diventata assai più mainstream, i social network. Ha visto bene su Facebook, diventandone il primo investitore esterno: nel 2004 gli bastò pagare mezzo milione di dollari per aggiudicarsi una quota del 10,2% di quello che sarebbe diventato il re dei social con una capitalizzazione di mercato da 500 miliardi.
Quel suo piccolo investimento iniziale gli è valso un guadagno stimato in oltre un miliardo (vendette gran parte della quota nel 2012). Altre operazioni di successo condotte nel frattempo: diede vita alla società di software Palantir Technologies, al fondo hedge Clarium e al fondo Founders Fund, che ha ad oggi in gestione tre miliardi e investito in oltre cento società spesso d'avanguardia - da Airbnb a SpaceX e Lyft.
Un conservatore nel «covo» liberal
Tanto ha destato ammirazione per i successi tech, quanto però Theil ha provocato scontri in politica. Le sue convinzioni sono radicate: già da studente alla Stanford University negli anni Ottanta si era distinto per aver dato alle stampe un giornale conservatore. E soltanto il mese scorso, parlando proprio a Stanford, ha apostrofato la Valle del Silicio come tuttora «uno stato a partito unico». Minimizzando, di conseguenza, gli impegni di leader quali lo stesso Mark Zuckerberg di Facebook a favore di una maggior diversita' non solo razziale e sessuale ma ideologica. E archiviando anche i propri passati sforzi, quando aveva cercato di agire da “ponte” organizzando incontri tra influenti utenti conservatori e il social network accusato di discriminare contro le loro opinioni.
Il sostegno a Trump
L'apice delle sue battaglie politiche è arrivato con la campagna di Trump. Thiel ne è diventato l'apostolo in un settore tech che lo aborriva. Le tensioni sono venute alla luce in uno scontro epocale tra lui e Reed Hastings di Netflix. Teatro: il board di Facebook. Hastings gli inviò una mail che denunciava il suo sostegno a Trump come «pessimo e catastrofico». E mise in dubbio che fosse adatto a rimanere nel consiglio di amministrazione. Fughe di notizie resero pubblica la disputa, e il Ceo Mark Zuckerberg prese di petto entrambi i duellanti sulla fonte delle indiscrezioni - il sospetto è che fosse stato proprio Thiel. Che però allora non si fece da parte e tenne duro. In seguito, con Trump eletto presidente, fece parte del suo novero di consiglieri di business e da suo portavoce solitario a Silicon Valley. Il progressivo disimpegno da Facebook culminò però a novembre quando cedette il 73% della sua rimanente, piccola quota nella società.
L’appoggio al wrestler Hulk Hogan
Le recenti controversie di Thiel non hanno a che fare solo con Trump. Fu il segreto finanziatore della causa legale per diffamazione portata dal campione del wrestling Hulk Hogan contro l'editore online Gawker Media, una causa che finì per portare il gruppo giornalistico alla bancarotta. Gawker, che aveva svelato un video su un affaire extraconiugale di Hogan con la figlia di un amico, fu condannata a pagare 140 milioni di dollari, poi ridimensionati con un accordo a 32 milioni. Thiel uscì alla fine allo scoperto e ammise di aver dichiarato guerra a Gawker per una storia pubblicata nel 2007, che aveva violato la sua privacy. Gawker aveva svelato che Thiel era gay. Thiel si è spinto fino a cercare di comprare Gawker all'asta per la liquidazione in tribunale, ma la magistratura ha respinto i suoi tentativi.
E adesso Hollywood
Stanco forse delle vecchie battaglie, Thiel ha tuttavia ora adesso di sceglierne di nuove. Negli ultimi due anni ha progressivamente abbandonato poltrone nei board di società come Zenefits a Ansana, lasciato l'incubatore di startup Y Combinat e ceduto quasi interamente la sua partecipazione in Twilio. Per preparasi alla nuova avventura: vorrebbe creare una vera a propria società di media. Un gruppo che nutra la discussione e promuova cause conservatrici, forse in concorrenza con grandi e celebri outlet che vanno da Fox a Breitbart News, da televisioni a riviste, radio e siti. Thiel, nonostante questo, vede opportunità ancora inesplorate nel mondo intellettuale della destra. Un ruolo nel nuovo business potrebbero giocarlo le sue Thiel Capital e Thiel Foundation, che sposteranno i loro 50 dipendenti a Los Angeles. Il fondo Founders Fund rimarrà invece a San Francisco. Certo è che Thiel, dopo quasi 40 anni passati a Silicon Valley, muoverà tuttavia i suoi primi passi nella “sconosciuta” Hollywood e sulla nuova frontiera dei media in pieno comfort: dalla sua enorme villa acquistata ormai sei anni or sono sulla Sunset Strip per 11,5 milioni di dollari.
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