Perché pretendere di dare consigli alla Bce non è una buona idea
Quello che la classe politica ancora non ha capito, compresa gran parte di quella ora all’opposizione, è che il Mes può essere un’opportunità per il Paese
di Ignazio Angeloni
3' di lettura
Cominciano ad arrivare le decisioni del nuovo governo e con esse i primi commenti. Suscitano dibattito in questi giorni soprattutto i provvedimenti sulla rottamazione delle cartelle esattoriali (leggi, condono di evasione pregressa) e sulla diffusione del contante (leggi, più evasione in futuro). È invece passato quasi sotto silenzio l’attacco alla banca centrale. La politica della Bce è, secondo il presidente del Consiglio, «da molti reputata azzardata». Parole forti, soprattutto perché pronunciate dal premier di un Paese europeo importante nel suo primo discorso.
La tempistica non è stata fortunata. Dati usciti poco dopo quelle parole suggeriscono che la politica della Bce, lungi dall’essere azzardata, è semmai piuttosto cauta, forse anche tardiva. L’inflazione nell’area euro è balzata in ottobre allo 10,7%, battendo le aspettative; in Italia siamo addirittura al 12,8 per cento. Per dare una misura: di questo passo, i risparmi degli italiani depositati in banca o in buoni postali si dimezzano in poco più di tre anni. Siamo all’inflazione di inizio anni 80, quella che i libri di testo mostrano a esempio di fallimento delle banche centrali nel prevenire l’inflazione. E di successo nel combatterla ex post, a suon di tassi di interesse molto più alti di quelli attuali.
Per fortuna l’economia tiene ancora: nel terzo trimestre l’area euro cresce dello 0,2% (alcuni temevano fosse già in recessione), mentre l’Italia registra un ottimo 0,5 per cento. Andamenti che riducono, ma non eliminano del tutto, il rischio di recessione l’anno prossimo.
Tempistica a parte, la sostanza di quell’affermazione appare senza fondamento. I dati per l’eurozona continuano a segnalare aumenti della quantità di moneta (soprattutto nelle componenti più liquide, quelle che aiutano a spendere) e del credito. L’ultima indagine Bce sul credito è illuminante. Essa segnala che l’atteggiamento cauto delle banche nell’erogazione del credito dipende quasi interamente dalla percezione del rischio, e solo in minima parte dalle condizioni del funding – cioè, dal costo e dalla disponibilità della raccolta. Quest’ultima è la parte influenzata dalla banca centrale attraverso la sua politica monetaria.
Ciò che rende le banche esitanti sono i rischi della guerra, la volatilità dei mercati energetici e la stessa inflazione. La politica monetaria, ancora caratterizzata da tassi di interesse negativi al netto dell’inflazione e da abbondante liquidità, non sembra al momento ostacolare il flusso del credito, specialmente nei confronti delle imprese.
Più in generale, per chi ora governa sarebbe utile riflettere su come meglio impostare il dialogo con l’Europa. Nella sostanza, ma anche nel tono e nella scelta dei temi che possono risultare più fruttuosi.
In testa alla lista vi è naturalmente il Pnrr. In campagna elettorale si è parlato di richieste di modifica. Modifiche al margine non sono escluse, ma non è questo il punto centrale. Quello che conta ora è la puntuale attuazione del piano da parte dell’Italia. I dati segnalano che la fase preparatoria è stata condotta con successo, ma – come spesso accade in Italia – si rischia di fallire, nella “messa a terra”, cioè nell’esecuzione dei progetti e nella capacità di spendere rapidamente ed efficacemente i fondi. È lì che il Paese deve dare prova di essere cambiato. Inutile, anzi controproducente, cominciare a parlare ora di nuove forme di indebitamento europeo, magari per sostegni in campo energetico o per altro, se i programmi esistenti non procedono nel migliore dei modi.
Il secondo punto, più delicato, riguarda il cosiddetto “fondo salva Stati”: il famigerato (secondo alcuni) Mes. Quello che la classe politica ancora non ha capito, compresa gran parte di quella ora all’opposizione, è che il Mes può essere un’opportunità per il Paese. Riprendere il dialogo, con la prospettiva di ratificarne la riforma e ottenere una certificazione della sostenibilità del debito italiano e delle relative politiche, metterebbe il Paese stabilmente al riparo da rischi finanziari. Rischi che per il momento sembrano non vedersi (lo spread scende, pur rimanendo altissimo), ma sono sempre dietro la porta.
Quanto a dar consigli alla banca centrale, in poche e povere parole: meglio lasciar stare. Come ampiamente sperimentato in passato, è più probabile che i banchieri centrali aiutino i governi se tale aiuto non viene richiesto esplicitamente, soprattutto in forma di critica. Magari non sarà giusto, ma è così.
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