Perché il ritorno dell’inflazione in Europa non spaventa
di Marcello Minenna
6' di lettura
Il rischio di inflazione è tornato sullo schermo radar degli operatori e delle autorità anche in Europa, complice il dato di gennaio 2021 per l'area Euro superiore alle attese. Dopo 6 mesi passati in territorio negativo, il tasso di inflazione annuale è salito allo +0,9%, uno 0,4% in più delle aspettative. Le stime per i prossimi mesi sono orientate tutte verso un rafforzamento del trend di rialzo. C'è chi discute apertamente di un “effetto contagio” dagli USA, dove le aspettative di inflazione degli operatori sono in decisa crescita per via dell'imminente stimolo fiscale dell'amministrazione Biden.
I falchi della Banca Centrale Europea (BCE) stanno preparando il terreno per una ripartenza in grande stile del dibattito sull'uscita dallo stimolo monetario pandemico: il presidente della Bundesbank Weidmann si aspetta un tasso di inflazione in Germania mediamente del 3% nel 2021 e ritiene che la BCE dovrà reagire al mutato contesto in senso restrittivo. Secondo Weidmann sono finiti i tempi di un tasso di inflazione persistentemente basso nell'area Euro. Ma c'è da credere in una vera ripartenza dei prezzi?
Una fiammata di breve durata: le ragioni
A mio avviso ci sono molti elementi che indicano come il prossimo rialzo dell'inflazione sarà di breve termine e non ci sia un vero effetto di trasmissione in corso dagli USA. Innanzitutto a livello geografico la dinamica dei prezzi nell'Unione Europea (UE) è ovviamente molto differenziata.
In genere i Paesi dell'UE che non appartengono all'area Euro mostrano un tasso di inflazione mediamente più elevato dello 0,9% (v. Polonia, Ungheria). All'interno dell'unione monetaria i Paesi core dell'Europa centrale viaggiano ad un +1,6% annuo mentre una buona fetta della periferia resta in marcata deflazione; spicca il caso della Grecia che sta sperimentando una caduta dei prezzi ai livelli della crisi del 2015, fenomeno che aggraverà non di poco le dinamiche già pessime del rapporto debito / PIL.
Il valore osservato per l'area Euro è plausibilmente influenzato dalle economie più grandi (Germania, Francia, Italia) che mostrano tutte un tasso di inflazione che gravita nell'intervallo tra lo 0,7% e l'1,6%. Per capire meglio cosa sta succedendo è utile decomporre il tasso di inflazione realizzato (espresso dall'indice HICP Harmonised Index of Consumer Prices – cfr. Figura 2) per categoria di beni.
Dai dati si nota con un discreto colpo d'occhio come a guidare l'improvviso rimbalzo dell'indice HICP a gennaio 2021 sia stato innanzitutto un rialzo dei prezzi dell'energia (barre rosse). Il contributo all'indice è passato da --0,66% di dicembre 2020 a -0,4% di gennaio in connessione con la risalita di circa il 20%del prezzo del petrolio da 50 a 60 $ al barile. Si tratta di un fenomeno globale che ha colpito in maniera simmetrica tutte le economie industrializzate e che spiega in parte la correlazione tra l'indice HICP ed il tasso di inflazione negli USA.
Le cause sottostanti la fiammata dei prezzi dei beni industriali (barre verdi) e dei servizi (barre celesti) sono invece da ricercare su base regionale. Innanzitutto a gennaio è scaduto lo sconto IVA di 6 mesi promulgato dal governo tedesco in risposta alla crisi dei consumi post-lockdown. Da luglio a dicembre 2020 le aliquote IVA su beni e servizi sono state calmierate rispettivamente al 16% ed al 5% invece che essere applicate in formula piena al 19% e al 7%. Dal grafico appare evidente l'effetto sul livello dei prezzi - prima deflazionistico e poi inflazionistico - provocato da queste misure. Inoltre la stagione dei saldi che tipicamente partiva in Francia a gennaio è stata posticipata a febbraio 2021 per esigenze di contenimento della pandemia; quindi l'effetto periodico di compressione dei prezzi dei beni di consumo non si è palesato ancora nei dati.
Infine il 2021 ha visto una revisione dei pesi attribuiti alle varie categorie nella determinazione dell'indice HICP (cfr. Figura 3). Questi cambiamenti dipendono dal nuovo assetto dei consumi dei cittadini europei, che si è profondamente modificato nel 2020 a causa della pandemia. Di conseguenza, è aumentato significativamente il peso dei prezzi dei beni alimentari ed industriali, mentre si è ridotto quello dell'energia (per via della ridotta mobilità) e dei servizi, la categoria maggiormente impattata dalle restrizioni all'attività economica. La ricalibrazione dei pesi ha pertanto contribuito a “distorcere” ulteriormente il valore dell'indice HICP.
C'è un ulteriore “effetto ottico” di natura puramente statistica che contribuirà a far salire il tasso di inflazione nei prossimi mesi: poiché si tratta di variazioni percentuali anno su anno, tra marzo e maggio il livello dei prezzi varrà rapportato con il periodo più nero dello shock pandemico, caratterizzato da un'improvvisa caduta della produzione e dei prezzi a causa dei lockdowns generalizzati.
Al di là di questi effetti temporanei e cosmetici, non si intravede una spinta strutturale al rialzo dei prezzi. Nei prossimi mesi l'economia attraverserà la fase più profonda della recessione c.d. double dip, mentre un trend di re-flazione ampio e duraturo dovrebbe essere sostenuto da un rafforzamento del mercato del lavoro e da un aumento dei salari. Il tasso di disoccupazione per ora è aumentato di poco dal 7,2% all'8,3%, ma è chiaro a tutti che si tratta di un valore falsato dal sostegno finanziario dei governi al mercato del lavoro e dal blocco dei licenziamenti tutt'ora in vigore in Italia e Spagna. Senza misure di contenimento la disoccupazione nell'area Euro potrebbe rapidamente schizzare al 20%. La crescita dei salari, negativa nel secondo trimestre del 2020 è ora all'incirca allo 0,6% annuo, un valore molto al di sotto della norma storica di circa il 2%.
Usa ed Europa su binari diversi: le stime del mercato dei titoli obbligazionari
Gli operatori del mercato obbligazionario sembrano tenere in buon conto le differenze strutturali tra la dinamica dei prezzi negli USA e nell'area Euro. Ciò appare evidente se si considerano le differenze di rendimento tra i titoli standard a tasso fisso e quelli indicizzati al tasso di inflazione nelle due aree valutarie.
In genere le obbligazioni indicizzate valgono di più perché incorporano una protezione aggiuntiva per l'investitore; come conseguenza il loro rendimento implicito è quasi sempre inferiore. Il differenziale tra obbligazioni ordinarie ed indicizzate su una data scadenza riflette la stima del tasso di inflazione futuro che gli operatori si attendono, definito in gergo tecnico tasso di inflazione “break-even” (cfr. Figura 4, linea rossa per la Germania e verde per gli USA). In prima battuta, i dati confermano come l'inflazione attesa su un orizzonte di 10 anni sia in crescita dai minimi raggiunti ad aprile 2020 in entrambe le aree valutarie. Tuttavia si nota una divergenza crescente tra i due tassi break-even (area azzurra) a partire dal terzo trimestre 2020, che ha oramai superato i 115 punti base ed è ai massimi dal 2011.
In altri termini, gli operatori reputano più probabile – a ragion veduta – una ripresa significativa nell'inflazione negli USA che nell'area Euro.
Tassi di cambio e liquidità abbondante: il nuovo scenario
Nel corso del 2020 il rafforzamento del tasso di cambio Euro/Dollaro ha contribuito a congelare la dinamica dei prezzi nell'area Euro, favorendo una fase di deflazione piuttosto lunga. Infatti il crollo dei tassi di interesse nominali negli USA non ha trovato un calo corrispondente oltreoceano dove i tassi di interesse erano già a livelli profondamente negativi da anni. In risposta a questa riduzione del differenziale tra i tassi di interesse in USA ed Europa, l'Euro si è apprezzato del 12% sul Dollaro raggiungendo ad inizio 2021 i massimi da 3 anni. È possibile - ma non scontato - che un rialzo dei tassi di interesse USA possa favorire un alleggerimento di queste condizioni al contorno nel prossimo futuro.
Peraltro non bisogna dimenticare che le modalità di allocazione della liquidità a livello globale sono cambiate radicalmente nel corso del 2020. Infatti i tassi di cambio sono rimasti relativamente stabili anche grazie alla rete di linee di liquidità di emergenza (C6 swap lines) tra le principali banche centrali del mondo, che ha soddisfatto l'enorme domanda di Dollari sui mercati swap e FX (foreign exchange) generatasi all'apice della crisi sanitaria a marzo 2020. Senza rete di salvaguardia si sarebbe generato un aumento sproporzionato del valore del Dollaro rispetto a tutte le altre valute.L'utilizzo di questi strumenti da parte delle banche centrali estere è stato immediato e massiccio (cfr. Figura 5). Già il 19 marzo i membri del C6 avevano attinto 162 miliardi di dollari dalle linee swap.
A fine mese questo dato era più che raddoppiato a $ 357 miliardi, con il 47% di risorse impegnate dalla Bank of Japan (BOJ) e circa il 36% dalla BCE. L'attività di prestito è rimasta intensa fino alla metà di aprile, per poi scemare gradualmente nei mesi successivi. La BOJ è rimasta l'autorità monetaria più attiva con una serie di interventi significativi anche durante il mese di maggio, prevalentemente volti ad estendere prestiti a breve termine già accesi.
All'inizio del 2021 questo sistema di accesso alla liquidità appare “dormiente”, ma comunque attivo: non sono mancate operazioni marginali di riaggiustamento dei flussi che indicano la perfetta operatività delle linee.
In definitiva, non si può predire in anticipo se questo nuovo assetto del sistema finanziario globale possa favorire od inibire la trasmissione di impulsi inflazionistici da una parte all'altra dell'oceano, ma scommetterei più sul secondo scenario.
C'è ancora parecchio di cui preoccuparci in Europa nei prossimi mesi, ma non credo dell'inflazione.
Marcello Minenna, direttore Generale dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli
@MarcelloMinenna
Le opinioni espresse sono strettamente personali
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