Cultura e Societa

Perché lo scrittore italiano è imprenditore

di Armando Torno

3' di lettura

L’Italia è un Paese che più di molti altri ha visto i letterati trasformarsi - oggi li chiameremmo così - in imprenditori editoriali. Nell’Ottocento spicca il caso di Alessandro Manzoni, che pubblica direttamente, a proprie spese e investendo parecchio, l’edizione illustrata de “I Promessi Sposi”, la celebre “Quarantana”. Anche lo stesso Leopardi collabora con l’editore Stella di Milano per avere un reddito autonomo e, tra l’altro, compie veri e propri lavori redazionali (si pensi alla “Crestomazia”). Nel Novecento sono soprattutto i giovani, cercando un ruolo indipendente dai grandi editori, che promuovono iniziative. I casi più emblematici sono quelli di Papini e Prezzolini con “La libreria della Voce” e di Alberto Carocci con le edizioni di Solaria. In queste loro imprese diffondono, allo stesso tempo, un nuovo modello culturale.

Ora, Alberto Cadioli, uno dei nostri migliori studiosi del rapporto tra letteratura e sistemi editoriali, ripropone ripensato e ampiamente rinnovato, con circa 150 pagine inedite, “Letterati editori”, la cui prima stampa risale al 1995 (esce da Il Saggiatore, pagg. 382, € 21,00). Un libro che è ormai considerato un classico del genere e indaga il lavoro editoriale di alcuni grandi del secolo scorso. Un’analisi che va da Vittorini a Calvino (particolarmente impegnati con Einaudi), da Sereni e Giacomo De Benedetti, da Renato Serra a Luigi Rusca, quest’ultimo imprenditore e poi letterato, che alla Mondadori inventa “I Gialli” e alla Rizzoli offre l’idea della Bur. Un uomo che era presidente di una società di laterizi e, dopo la guerra, apre nel 1955 a Catania la Cesame, un’azienda che produceva ceramiche sanitarie.

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Cadioli ha indagato anche i recenti imprenditori editoriali e dal suo studio emerge che l’Italia è un Paese inguaribilmente malato di febbre cartacea da libro. Ci confida: “Anche oggi sono tanti i letterati che lavorano in una casa editrice o che sono editori, rischiando il loro capitale. C’è il caso di Roberto Calasso dell’Adelphi, che afferma direttamente la propria tendenza culturale e letteraria; ci sono poi numerosi altri che devono convivere con le regole del mercato, pubblicando i titoli maggiormente richiesti”. In altri termini, ormai da qualche decennio il letterato non è più separato dai processi di pubblicazione di un libro; è scomparso, o comunque in via di estinzione definitiva, lo scrittore dedito all’otium creativo, allo splendido isolamento economico. Saggisti e narratori, senza tener conto dei poeti, hanno bisogno di confrontarsi con un contesto produttivo e di mercato per poter farsi conoscere pubblicando. In questo senso l’editoria cartacea può essere anche superata da quanto sta accadendo in Rete, oceano nel quale le novità non si contano.

Tornando al tema di Cadioli, da cui abbiamo tratto spunto per le nostre considerazioni, va detto che il suo libro pone in evidenza che l’uomo di lettere del Novecento si serve dell’industria editoriale (piccola o grande che sia) per affermare i propri modelli. Precisa: “Studiare i letterati impegnati nell’editoria significa porre in evidenza momenti importanti della cultura italiana, capire perché sono state compiute certe scelte e non altre, comprendere meglio – e anche con la realtà economica del momento – la nascita e lo sviluppo di talune collane e la valorizzazione di certi scrittori”.

Per Cadioli miracoli come Mondadori, Rizzoli o Bompiani sono indissolubilmente legati al fermento e al contesto dei lettori degli anni Trenta; Einaudi risponde “al bisogno di rinnovamento di cultura del secondo dopoguerra”, mentre Garzanti fa conoscere a un vasto pubblico autori quali Gadda o Pasolini e porta l’enciclopedia in ogni casa con le “Garzantine”. E Laterza percorre buona parte del Novecento “dimostrando l’importanza che avevano assunto gli studi di carattere saggistico avviati all’inizio del secolo da Croce”. In tutte queste case editrici non sono mancate figure che, pur fedeli al valore dei testi, erano particolarmente attente alla concretezza economica. Anche se in molti casi essa non fu onorata osservando le frigide disposizioni dei bilanci.

Cadioli conclude: “L’editoria del Novecento sembra ormai lontana nel tempo. Oggi lo stesso lavoro redazionale è mutato geneticamente e non sappiamo quali scenari si consolideranno nel futuro immediato”. Intanto dovremmo parlare dei non-libri, prodotti che hanno tutte le caratteristiche del vecchio testo ma che, anche dopo un superficiale esame, si scopre che contengono un sosia abbruttito del nulla. Questa però è un’altra storia. E Cadioli potrebbe anche raccontarla.

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