Perché sempre più italiani emigrano a Londra (nonostante Brexit)
di Alberto Magnani
3' di lettura
La Brexit incombe. E il timore di una stretta sui cittadini Ue, all’ordine del giorno nelle trattative con Bruxelles, sta facendo lievitare la lista degli italiani che lavorano o cercano lavoro oltremanica. Secondo l'ultimo rapporto della Fondazione Migrantes, il Regno Unito svetta come la meta preferita dagli expat italiani: 24.771 nuovi iscritti all’Aire (Anagrafe italiane residenti all’estero) nel 2016, in crescita del 50,1% nell’ultimo anno e con un largo scarto rispetto a quelli che hanno scelto Germania (19.178), Svizzera (11.759), Brasile (6.829) e Stati Uniti (5.939). In proporzione, il 20% di tutti i 124.076 nuovi italiani trasferiti fuori dalla Penisola nel periodo gennaio-dicembre 2016.
La crescita è determinata in parte dall’afflusso ex novo di lavoratori italiani attrratti da stipendi e condizioni più appetibili, soprattutto in settori come costruzioni, ingegneria e Ict. In parte, però, i numeri sono gonfiati dalla regolarizzazione degli italiani «sommersi» : i connazionali che risiedevano già nell’Isola, ma non si erano mai iscritti negli elenchi dell’Aire prima che i timori di una stretta si facessero sempre più pressanti. Secondo dati dell’Ambasciata italiana a Londra, in Gran Bretagna si contano circa 700mila italiani: oltre 147mila risiedono nella Capitale, un valore pari al triplo dei 44mila riscontrati nel 2006.
Eures: 30mila posti di lavoro vacanti (ora)
Anche se «in rallentamento» rispetto al periodo pre-Brexit, il flusso di lavoratori italiani continua. Nel mirino ci sono le posizioni aperte a cittadini Ue e lasciate scoperte dalla forza lavoro locale, inclusi ruolo tecnici di alto livello o nel management. Eures, una piattaforma per la ricerca di impiego della Commissione europea, segnala circa 30mila posizioni aperte, dai responsabili acquisti ai tecnici specializzati nella manutenzione di impianti. L’agenzia di lavoro online Monster pubblica oltre 1000 annunci sulla sola Londra. Randstad, una multinazionale olandese delle risorse umane, evidenzia solo all’interno del suo database un totale di 7.308 posizioni vacanti, con una certa concentrazione sulle opportunità di nei settori di «costruzioni/immobiliare, educazione, social care, health care, ingegneria con focus su ambito meccanico, aerospaziale e ambientale e ambito Ict».
In particolare, nonostante la frattura in corso con l’Europa, l’economia britannica si mantiene attrattiva perché ha bisogno di un numero crescente di laureati in discipline tecnico-scientifiche: «Negli ultimi anni, il mercato britannico è attrattivo in particolare per figure con una formazione Stem - fanno notare dalla società - Tra questi spiccano laureati in ingegneria o in scienze informatiche per la forte domanda che proviene dalle aziende in questo ambito».
Nel solo 2015 sono cresciute del 7% le aziende in ambito ingegneristico, con una forza lavoro di 2,7 milioni di risorse impiegate. L’invecchiamento (anche professionale) dei dipendenti e l’aprirsi di nuove opportunità sta obbligando le società a rinnovare la selezione di personale, anche al costo di alzare l’asticella retributiva. «La stima di decrescita sulle figure Stem (le discipline tecniche, scientifiche e ingegneristiche, ndr) è di 55.000 laureati l'anno, e bisogna coprire le vacancies che si creano» spiegano da Randstad.
Il fenomeno degli “emersi”
Resta il fatto che parte dei «nuovi arrivi» era, in realtà, già presente da anni nel Regno Unito. Nonostante il flusso di giovani diretti in Gran Bretagna resti costante, l’exploit vero e proprio è alimentato dall’ansia di restare esclusi dalla legislazione successiva alla Brexit.
Come spiega un portavoce dell’Ambasciata italiana a Londra, il referendum del giugno 2016 «ha fatto venire alla luce il fenomeno dei cosiddetti “emersi” - dicono - Vale a dire di quei connazionali che pur vivendo in Regno Unito da diversi anni, non avevano ritenuto di iscriversi all'Aire, in violazione della legge 1988/470 (che prevede l'iscrizione all'Anagrafe consolare entro 90 giorni per chi pianifica di risiedere nel paese più di un anno, ndr)».
Secondo i numeri forniti dall’Ambasciata, la “emersione” dei connazionali ha portato le iscrizioni Aire dalle 1.800 pre-Brexit alle oltre 3mila del post Brexit (+65%). Molti si affrettano a richiedere la residenza, ma c’è chi è in attesa di coordinate più precise sulle regole per i lavoratori internazionali. Anche se, per ora, tutto è appeso al dialogo con il Continente: «Ancora non vi sono indicazioni - dicono dall’Ambasciata - E saranno solo i negoziati fra l'Unione Europea e le Autorità britanniche a fornire direttive univoche e definitive in materia».
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