Perché lo smart working diventa ancora più utile
di Paola Profeta
3' di lettura
In questi giorni di emergenza per la diffusione del coronavirus, Smart-Working è diventata una parola chiave. Lavorare in modo flessibile, da casa o da un luogo sicuro e poco affollato, che non sia il posto di lavoro, e lavorare con orari flessibili non necessariamente dalle 9 alle 5, sta diventando una necessità più che un'opzione. Con le scuole chiuse e la raccomandazione di evitare posti affollati, l'alternativa è non lavorare proprio. Le aziende che si sono dotate, grazie alla tecnologia, di questa possibilità riescono ora a far fronte all'emergenza molto meglio e più facilmente di chi ha opposto resistenza o non ha dato abbastanza importanza alla nuova modalità di organizzazione del lavoro, regolamentata in Italia dalla legge 81/2017. La corsa allo smart-working ha preso un'accelerata. Milano sta lavorando smart come mai prima.
Ma cosa sappiamo sullo smart-working? Esistono molte indagini, per lo più di tipo qualitativo, svolte ex post su campioni di lavoratori che utilizzano questa modalità flessibile nel luogo e nel tempo di lavoro. Queste indagini, condotte per lo più in ambito non accademico, pur dando alcune indicazioni interessanti, non riescono ad individuare un rapporto di causa-effetto tra l'utilizzo dello smart-working e le sue conseguenze sulla società e l'economia. Il progetto ELENA sviluppato dal Dipartimento Pari Opportunità con il Centro Dondena dell'Università Bocconi, che si è concluso l'anno scorso, è l'unico al momento in grado di individuare tale relazione. Il progetto ha previsto il disegno di un esperimento randomizzato in cui un gruppo di lavoratori di una grande azienda è stato selezionato in modo casuale per lavorare smart per 9 mesi (gruppo trattato) e un altro gruppo (di controllo) ha continuato a lavorare tradizionalmente.
Confrontando i risultati dei lavoratori del gruppo trattato e di quello di controllo si ottiene una stima degli effetti causali dello smart-working sugli indicatori rilevanti: produttività, benessere individuale e bilanciamento tra vita lavorativa e vita personale. I risultati scientifici, da cui ha origine il paper “Smart-working: Work flexibility without contstraints” (Marta Angelici e Paola Profeta), sono tutti positivi: lo smart-working ha aumentato la produttività dei lavoratori, migliorato il benessere e migliorato il bilanciamento tra lavoro e famiglia. Tutti gli indicatori di produttività vanno nella stessa direzione: la produttività è stata misurata in modo oggettivo sulla base dei risultati dei lavoratori, del rispetto delle scadenze e del numero di assenze, e in base al giudizio dei supervisori di ciascuno lavoratore. Il benessere è aumentato: i lavoratori smart sono più soddisfatti della loro vita sociale, del loro tempo libero, sono più concentrati, apprezzano di più le loro attività quotidiane, riescono a risolvere meglio i problemi e prendere decisioni, riducono lo stress e la mancanza di sonno. Lo scetticismo, anche legittimo, in base al quale ridurre il controllo sui lavoratori può ridurre il loro commitment, non ha riscontro nell'evidenza, anzi, i lavoratori smart si sentono più impegnati nel loro lavoro.
Come prevedibile, i risultati sono più forti per le donne, che tipicamente hanno esigenze di bilanciamento tra lavoro e famiglia maggiori e quindi maggiore necessità di flessibilità, soprattutto di orari. Ma è interessante sottolineare che, a seguito dello smart-working, anche gli uomini aumentano il tempo dedicato alle attività di cura e attività domestiche. Si tratta quindi di uno strumento in grado di ridurre le differenze di ruoli tra uomini e donne all'interno della famiglia, che, sappiamo, hanno un ruolo fondamentale nelle differenze di genere sul mercato del lavoro.
Uno strumento utile, con effetti positivi, e a volte, come stiamo capendo in queste ore, anche necessario.
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