quota 100

Perché la staffetta generazionale non ha mai funzionato

di Vincenzo Galasso

3' di lettura

Anche le politiche del cambiamento possono avere un sapore antico. È il caso di Quota 100, la misura forse più controversa del Def, che dovrebbe consentire il superamento della legge Fornero. Nel difenderla, il ministro Salvini ha fatto spesso riferimento alla staffetta generazionale: Quota 100 consentirebbe il pensionamento di circa 400mila lavoratori anziani e quindi l’assunzione di 400mila giovani lavoratori. Il mercato del lavoro non è un po’ come un autobus durante l’ora di punta? Per poter salire, chi è in attesa alla fermata (i giovani) deve aspettare che qualche passeggero (i lavoratori anziani) scenda. Sembra un’ovvietà. Eppure non funziona così.

Facciamo un salto indietro agli anni 70. Tutti i Paesi europei introdussero qualche misura di pensionamento anticipato, che spesso prevedeva una staffetta generazionale: il pensionamento di un lavoratore anziano in cambio dell’assunzione di un giovane. Questo schema di staffetta divenne estremamente popolare. La Spagna lo introdusse nel 1972, il Belgio nel 1976, il Regno Unito nel 1977, la Finlandia nel 1979, la Francia nel 1982, la Germania e l’Italia nel 1984. In un periodo di grandi ristrutturazioni industriali, i prepensionamenti – con o senza staffetta, consentivano alle imprese di liberarsi di lavoratori anziani – spesso caratterizzati da salari elevati e bassa produttività, a costo zero e con il placet dei sindacati. Ma l’onere di finanziare queste nuove pensioni ricadde sui giovani, attraverso il pagamento di contributi previdenziali sempre crescenti e l’aumento del debito pubblico, che negli anni 80 toccò in Italia il momento di massima crescita. Eppure, allora come oggi, la narrativa della staffetta tra lavoratori giovani e anziani fu decisiva per far accettare i prepensionamenti – in Italia e in Europa.

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Dagli anni 90, il trend si è invertito quasi ovunque. L’età di pensionamento ha preso ad aumentare, per stare al passo con l’incremento della speranza di vita. E la staffetta generazionale ha perso rilevanza – sia per motivi teorici che pratici. La staffetta può funzionare solo se giovani e anziani sono tra loro sostituibili nelle mansioni lavorative. Ma spesso non è così, perché i lavoratori giovani tendono a essere più istruiti degli anziani e a svolgere mansioni diverse. Inoltre la rivoluzione digitale ha scavato un solco profondo tra le competenze delle diverse generazioni. E infatti nei dati non c’è traccia di questa staffetta. Nei tanti Paesi che la introdussero negli anni 70, in realtà, l’occupazione giovanile non migliorò. Anzi, i tassi di occupazione dei giovani e degli anziani peggiorarono. Per migliorare, entrambe, solo con la ripresa della crescita economica.

Nel 2011, la riforma Fornero ha dato nuova linfa a questa discussione – oramai solo italiana. Diversi studiosi si sono chiesti se l’occupazione giovanile sia peggiorata dopo l’aumento dell’età di pensionamento introdotto dalla riforma Fornero. I risultati sono contrastanti. Ma anche le stime più favorevoli alla staffetta non giustificano l’ottimismo del governo. Il tasso di sostituzione tra lavoratori anziani e giovani, anche in un periodo di grande crisi, sarebbe un misero uno a quattro. Da ridurre ulteriormente nei periodi di crescita, in cui la staffetta diventa ovviamente meno pertinente. Un po’ poco per giustificare una spesa di 8 miliardi di euro – corrispondente a 80mila euro per ognuno dei 100mila nuovi giovani potenzialmente impiegati.

Le scelte di riforma pensionistica spettano al governo, come è stato rivendicato a chiare lettere. È dunque legittimo che, per tener fede alle promesse elettorali, si destinino 8 miliardi a 400mila lavoratori anziani. Ma evitando di prendere in giro i giovani.

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