Perché torna a salire in Siria la tensione Russia-Stati Uniti
di Marco Valsania
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I cieli della Siria sono teatro di nuove, drammatiche escalation della crisi internazionale tra Stati Uniti e Russia. Mosca ha esplicitamente minacciato di trattare tutti i velivoli della coalizione internazionale sotto le ali di Washington come «obiettivi» dopo che un pilota americano, per la prima volta in sei anni di conflitto, ha abbattuto un aereo del governo di Damasco accusato di bombardare forze dell’opposizione a Bashar al-Assad impegnate contro Isis. Anche se il Cremlino ha evitato di affermare che cercherà di colpire gli aviogetti, i toni utilizzati - «aggressione militare» - denunciano il moltiplicarsi delle incognite.
«Nelle regioni dove l’aviazione militare russa sta conducendo operazioni sopra la Siria - ha fatto sapere l’alto comando di Mosca - qualunque oggetto volante, compresi velivoli e droni della coalizione internazionale, scoperti a ovest del fiume Eufrate verranno considerati target aerei da monitorare per i sistemi di difesa sia aerei che di terra». Nell’episodio di domenica che che scatenato le ripercussioni, un F/A-18 statunitense era entrato in azione contro un jet siriano che nei pressi della città di Tabqah aveva sganciato ordigni sulle forze pro-americane.
Il ministero della Difesa russo ha anche annunciato la cancellazione dell’accordo di cooperazione sui cieli del Paese, un “telefono rosso” inteso a evitare incidenti tra velivoli. Una simile misura era già stata presa in aprile in occasione di un attacco missilistico americano alla base di Damasco a Shayrat, origine di offensive con gas nervino contro la popolazione civile di aree controllate dalle forze in lotta contro Isis ma ribelli ad Assad. La cooperazione era ripresa in seguito.
Non è affatto escluso che una simile de-escalation avvenga. Da Pechino, dove era in visita, il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ieri ha ancora invitato tutti a «evitare azioni unilaterali» e a rispettare «la sovranità della Siria». Il Pentagono, dal quartier generale della task force anti-Isis a Bagdad, si è da parte sua limitato a riaffermare che «continuerà a condurre operazioni in Siria, fornendo copertura aerea alle forze della coalizione e ai partner sul terreno».
Il “confronto” russo-americano in Siria è però progressivamente peggiorato con l’evoluzione oggettiva della situazione sul campo, che ha visto Isis perdere terreno sotto la pressione sia della coalizione occidentale che di Assad. Le milizie delle Syrian Democratic Forces, attorno ai curdi, stanno avanzando sulla roccaforte di Raqqa; mentre le truppe di Damasco, coadiuvato da Russia e Iran, si stanno facendo strada verso la stessa Raqqa da Aleppo.
Più ancora, in questo clima, la nuova escalation della tensione ha sollevato pesanti interrogativi sulla chiarezza della strategia americana nell'intera regione. La Siria non è il solo focolaio di seria confusione e rischi per una politica estera dell’amministrazione di Donald Trump sospettata dai critici di essere troppo improvvisata e incoerente.
Nel vicino Afghanistan la Casa Bianca è parsa abdicare ai generali del Pentagono ogni decisione sui livelli di nuove truppe da inviare nel Paese per combattere i talebani, dopo aver considerato proposte di spedire migliaia di nuovi soldati. Nel Golfo Persico non è rientrata la rottura istigata forse senza volere da Donald Trump tra Arabia Saudita e Qatar, che ha indebolito il fronte anti-errorismo.
Dal Congresso, intanto, i senatori anche della maggioranza repubblicana si affannano a riconquistare voce in capitolo sul fronte internazionale, una prerogativa ormai da anni abbandonata. Al fine di correggere i percepiti gravi scivoloni di Trump hanno organizzato viaggi e incontri per offrire rassicurazioni sulla Nato ai paesi europei. Hanno approvato leggi per nuove, più sistematiche sanzioni contro la Russia.
E hanno anche inviato moniti a Riad, scomodo alleato per via delle sue ambizioni egemoniche nell’aera e la sua versione ultra-repressiva dell’Islam, che ha visto una veduta di armi americane per 500 milioni di dollari quasi bloccata dal Congresso.
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