Percorrere davvero il sentiero verde
Nell'Italia del Made in Italy, si è imboccato il sentiero dell'economia verde che, secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, è un sistema indirizzato al miglioramento del benessere umano e dell’equità sociale, riducendo al contempo in modo significativo i rischi ambientali e le scarsità ecologiche?
di Piero Formica e Fabio Maria Montagnino
4' di lettura
Nell'Italia del Made in Italy, si è imboccato il sentiero dell'economia verde che, secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, è un sistema indirizzato al miglioramento del benessere umano e dell’equità sociale, riducendo al contempo in modo significativo i rischi ambientali e le scarsità ecologiche? Pare di sì, sfogliando le agende dei tanti “eventi verdi”. D'ora in avanti dobbiamo accertarci che quel sentiero non sia la strada dell'inferno lastricata di buone intenzioni.
L'ecologismo di facciata (in gergo, il “greenwashing”) è stato svelato da Fòrema, società di formazione del sistema confindustriale italiano, che ha diffuso i dati di una sua recente inchiesta tra manager e imprenditori veneti: un’azienda su due comunica il green, una su venti misura realmente la propria impronta energetica. L’allarme: sempre più diffuso il greenwashing. Quanto in realtà siamo impegnati nella tutela dell'ambiente e quanto, invece, vogliamo solo far credere con ampie affermazioni sulla sostenibilità che lo stiamo facendo, ma senza prove? Per rispondere, è bene servirsi del metro “di più” che ci mostra in che misura la quantità che sconvolge l'ordine naturale delle cose sovrasta la qualità che impara a conoscere i processi naturali per poterli utilizzare in modo più efficace.Da tempo, diversi economisti vincitori del Premio Nobel denunciano che essendo prigionieri del “di più”, dell’ossessione della crescita quantitativa, non riusciamo a misurare ciò che conta, di cui è parte significativa la sostenibilità ambientale. Se obeso, il corpo dell'economia influisce negativamente sullo stato di salute del Pianeta. È così dalla metà degli anni Cinquanta del Novecento, quando l'impegno cieco ad accelerare i consumi alzò un tempio alla crescita esponenziale dell'economia.
A rendere popolare il metro “di più” contribuì nel 1955 Victor Lebow, consigliere economico del Presidente degli Stati Uniti Harry Truman, argomentando che La nostra economia enormemente produttiva esige che facciamo del consumo il nostro stile di vita, che convertiamo l’acquisto e l’uso dei beni in rituali, che cerchiamo la nostra soddisfazione spirituale e la soddisfazione del nostro ego nel consumo. Abbiamo bisogno di cose consumate, bruciate, sostituite e scartate a un ritmo sempre crescente. Tra i risultati allarmanti conseguenti a questa concezione ricordiamo le fonti di gas serra alimentate dalla quantità di aree naturali convertite in grandi proprietà agricole e dall'aumento indiscriminato delle pratiche di allevamento industriale.Non basta cambiare il linguaggio della crescita economica.
La trasformazione riguarda anche il linguaggio dell'economia circolare, attingendo al pensiero di Elinor Ostrom, Premio Nobel per l'economia nel 2009, sostenitrice della salvaguardia dei beni comuni attraverso interazioni virtuose tra gli esseri umani e gli ecosistemi naturali. Nel nuovo dizionario della circolarità non troviamo il riciclo e l'efficienza, bensì il riutilizzo (per esempio, delle bottiglie di vetro raccolte e lavate, rispetto alla loro frantumazione e riciclo – seppure efficiente - come semplice vetro) e l'efficacia nell'eliminare con l'eco-design sprechi e rifiuti durante le fasi di produzione, consumo e post-consumo. La vera circolarità riorienta in profondità gli obiettivi delle catene del valore, combinando risultati ambientali rigorosi con effetti positivi per l’economia e la società, come la creazione di posti di lavoro di buona qualità e l’inclusione di comunità vulnerabili ed emarginate nella distribuzione del valore. A questo fine contribuisce la riduzione della distanza tra i luoghi di produzione e di consumo, diminuendo così le emissioni dovute al trasporto ed evitando la delocalizzazione delle produzioni in violazione dei diritti sociali e delle normative ambientali. È tempo di imitare la natura, chiudendo i cicli di materiali ed energia in tutte le nostre catene di approvvigionamento e piattaforme di servizi e adottando approcci radicali “dalla culla alla culla”, come suggerito più di 40 anni fa da Walter R. Stahel e Genevieve Reday-Mulvey nella loro introduzione al concetto di economia circolare. Un possibile obiettivo di questo processo, secondo l’economista Herman Daly, è il raggiungimento di uno stato socio-economico in cui la ricchezza materiale e la popolazione si stabilizzano a un livello sostenibile.
Con il linguaggio cambia il comportamento delle imprese. Zebras Unite, una rete globale di imprenditori, finanziatori, investitori e alleati che chiedono un movimento imprenditoriale più etico, inclusivo, collaborativo, distribuito e sostenibile per trasformare la cultura prevalente delle startup e del venture capital, ha introdotto il termine “startup zebra”, un’alternativa all'obiettivo dei neo-imprenditori di tradurre in realtà il sogno di raggiugere a tutti i costi la valutazione di 1 miliardo di dollari senza essere quotati in borsa. Le startup zebrate sono intrinsecamente bianche e nere, essendo caratterizzate dall’affrontare sfide sia sociali che ambientali, perseguendo al contempo la propria redditività. Esse cercano mercati poco serviti, danno priorità alla felicità dei dipendenti e applicano i principi ambientali, sociali e di governance. Conseguentemente, adottano modelli di business che bilanciano il profitto e lo scopo, e danno importanza alla condivisione del potere e delle risorse. Cambia anche il portamento delle persone che percorrono il sentiero verde. Edgar Morin, filosofo e sociologo francese, definirebbe “antropo-etica” la loro postura. L'antropo-etico è un essere biologico e sociale che rivela le molteplici caratteristiche della condizione umana. È un membro responsabile della specie umana, della più vasta famiglia di tutte le specie viventi e degli oggetti naturali che abitano la Casa Terra e dell'ambiente socio-storico e culturale in cui vive.
L'antropo-etica è uno sguardo nel futuro dell'imprenditorialità per essere soggetti attivi dei processi decisionali che contemperano la quantità (il “di più”) con la qualità (il “meglio”) e rigettano l'ultra-profittabilità in quanto non compatibile con la difesa dell'ambiente il cui deterioramento ha pesanti ricadute sociali. Per raggiungere sia la prosperità economica che la stabilità ecologica, l'economista Kate Raworth ha sviluppato un modello che prende il nome di “economia della ciambella”. Essa definisce uno spazio desiderato per le nostre comunità, in cui prosperità sociale e stabilità ecologica possono coesistere. Questo spazio si trova tra il limite esterno della ciambella, corrispondente ai confini planetari (lo “spazio sicuro”), e il limite interno, che definisce 12 pilastri di fondazione sociale (lo “spazio giusto”). In conclusione, l'economia verde è una strategia per raggiungere, all'interno di questo spazio giusto e sicuro, gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs), adottati dalle Nazioni Unite nel 2015, che articolano una visione globale per società fiorenti. In questo contesto, il modello a ciambella propone l’adozione di agende diversificate: i Paesi ricchi dovrebbero puntare all’uguaglianza e alla prosperità nel segno del ben-essere e non solo del ben-avere, rinunciando all'uso indiscriminato delle risorse; nei Paesi in via di sviluppo, la necessaria crescita economica e sociale dovrebbe essere abbinata alle prestazioni ambientali.piero.
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