Pere, carote e patate: ecco dove la sovranità alimentare è da riconquistare
I cambiamenti climatici e il divieto di utilizzo da parte della Ue di fitofarmaci, concessi invece in altre parti di mondo, rischiano di cancellare alcuni comparti simbolo dell’agricoltura made in Italy
di Silvia Marzialetti
3' di lettura
Da quando ha debuttato con il nuovo ministero (che lo ha inglobato nella denominazione), la “sovranità alimentare” è il vessillo più sbandierato in tema di agricoltura. Eppure non si ricorda momento storico in cui le nostre filiere si siano rivelate più fragili.
Cambiamenti climatici e agenti patogeni rischiano di cancellare alcuni comparti emblema dell’ortofrutta made in Italy come pere (al minimo storico da tre anni), carote, patate, fragole in serra; mentre i dati sull’import – si pensi al mais – raccontano di un calo della nostra autonomia. Anche un settore consolidato come la melicoltura vacilla di fronte alla concorrenza dei Paesi dell’Est, diventati più aggressivi sul mercato italiano, dopo la chiusura di quello russo. La stessa guerra – ridisegnando tutti gli equilibri commerciali – sta determinando un progressivo fenomeno di abbandono delle colture più impegnative e meno remunerative (come il pomodoro), a favore di altre (come mais e foraggi).
«Siamo un paese importatore, produciamo meno di quanto consumiamo», ricordano i produttori. Ma il tema preoccupante è che la forbice si sta progressivamente ampliando. Prendiamo il comporto delle patate, fiore all’occhiello della produzione nazionale, la cui coltivazione in quindici anni è dimezzata, passando da 70mila ettari ai 30mila stimati per la campagna 2023. «Con un ulteriore calo – dice Davide Vernocchi, coordinatore Ortofrutta Alleanza Cooperative Agroalimentari – rischiamo di perdere la filiera e non è che la ricostruiamo il giorno dopo». Le cause? La soppressione di alcuni fitofarmaci risolutivi contro agenti patogeni come l’elateride, che sta decimando il comparto.
«Nel frattempo la produzione del tubero cresce in Nord Africa, con metodologie e principi attivi che noi abbiamo abbandonato anni fa: lo scenario che si prospetta è di una Italia che produrrà sempre meno e che importerà sempre più da Paesi che coltivano con sistemi produttivi pericolosi per la salute», conclude Vernocchi. Non aiuta il taglio lineare sui fitofarmaci proposto dalla Ue e anche se i negoziati sulla proposta di regolamento della Commissione sono fermi in attesa di un’analisi di impatto a lungo termine, il comparto si mobilita per tentare di arginare la deriva di alcune filiere in termini di produttività, redditività e competitività.
In una lettera indirizzata a ministero della Salute e Masaf, Alleanza delle Cooperative italiane, Fruitimprese, Coams (Consorzio delle organizzazioni di agricoltori moltiplicatori di sementi) e Cso Italy chiedono la reiterazione del rilascio all’uso «in situazioni di emergenza» di una molecola particolarmente efficace nel controllo dei nematodi fitoparassitari, ma ritirata nel 2018, in attesa di nuovi dati di sperimentazione: l’1,3D Dichloropropene. Da questo fumigante – scrivono – dipende la sopravvivenza di intere produzioni come carota e fragola in vivaio, che hanno un giro di affari rispettivamente di 250 milioni e 340 milioni di euro. Va da sè che la cancellazione delle filiere comporterebbe anche l’abbandono di intere aree rurali, con pesanti ricadute sull’indotto.
Lo stesso rischio riguarda la barbabietola da zucchero destinata alla produzione di un seme che si è rivelato estremamente efficace contro l’attacco dei nematodi ai vivai e che in Italia copre una superficie complessiva di 6mila ettari, soddisfando il 60% dell’intero fabbisogno mondiale. La drastica riduzione delle rese – ricorda Coldiretti – aumenterebbe l’import da Paesi terzi di prodotti trattati con le stesse sostanze, innescando distorsione della concorrenza.
Rischia di perdere appeal (ed ettari) anche il pomodoro da industria. Con la trattativa in pieno stallo al Nord, Confagricoltura Piacenza ha invitato i suoi produttori alla prudenza e alla programmazione ferrea, valutando l’abbandono a favore di colture meno rischiose e impegnative come il mais, nel caso in cui non dovessero arrivare prospettive chiare di remunerazione. «Senza certezze – dichiara il presidente Filippo Gasparini – con i rischi della coltura posti in capo solo ai produttori, chi ha anche altri indirizzi aziendali, come l'allevamento, ha tutto l'interesse a seminare foraggio».
Il ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida, conferma: «L’Italia è leader nell’esportazione di prodotti simbolo come vini, oli e formaggi, ma alcuni dati sulle importazioni evidenziano un calo della nostra autonomia». E rilancia: «Continueremo in maniera sempre più intensa a sostenere tutte le nostre filiere, a partire da quelle che vivono una fase di difficoltà. Lo stiamo già facendo con il Fondo per la sovranità alimentare e i suoi cento milioni di euro a supporto delle filiere produttive nazionali, ma anche con i contratti di filiera, che si pongono come risposta organizzata e strutturale nel settore della produzione agricola e della trasformazione».
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