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«”Within our mandate, the ECB is ready to do whatever it takes, and believe me…”. La scelta delle parole, quella fu di Mario Draghi. Doveva essere un messaggio convincente, perché la politica monetaria è la gestione delle aspettative. Avevamo la leadership di Draghi che trovò le parole, ma anche il tono, lo sguardo, un po’ come un attore, convinse i mercati, nel suo discorso a Londra il 26 luglio del 2012: fu credibile anche perché la Bce aveva il sostegno dei governi, non dimentichiamo che il Consiglio europeo il mese prima in giugno aveva approvato la tabella di marcia per il completamento dell’Unione economica e monetaria (ndr. basato su una maggiore integrazione e una solidarietà rafforzata). Io intanto ero a Francoforte e assieme al mio team e quello di Benoît Cœuré abbiamo lavorato sul nuovo strumento delle OMT, Outright monetary transactions, un nome strano eh, ma era tutto pronto, sapevamo secondo per secondo come sarebbe stato attuato, se necessario. Quella estate si percepiva il panico. Io avevo avvertito il mio team: preparatevi, questa estate niente vacanze».
Peter Praet, capoeconomista membro del Comitato esecutivo della Banca centrale europea dal giugno del 2011, racconta in tono pacato gli eccezionali retroscena delle giornate più calde della Bce, quel che capitò nel corso del suo mandato di otto anni che tra qualche giorno scadrà lasciando il suo posto a Philip Lane.
In un incontro a Francoforte organizzato dal Financial Times, incalzato dalle domande della ECB Watcher FT Claire Jones, Peter Praet ripercorre la gestione della Grande Crisi tra il 2008 e il 2012 così come l'ha vissuta nel grattacielo della banca centrale europea.
Le OMT, un nome strano secondo per secondo
«Le OMT sono un nuovo strumento: serviva un backstop e lo abbiamo creato ma con condizionalità, una cosa senza precedenti, ammetto non ottimale, la Bce si assumeva la valutazione della condizionalità prima di acquistare i titoli di Stato sul mercato secondario nelle OMT. La condizionalità è servita per evitare l'azzardo morale. Ma quando la Bce si è ritrovata nella Troika, è stato un ruolo che non ci è piaciuto, e abbiamo chiarito che partecipavamo solo come esperti» racconta Praet.
«La Bce ha comunque totale indipendenza sulla scelta degli strumenti che le servono per gestire il suo mandato, che è quello della stabilità dei prezzi. Per le OMT, come per qualsiasi altro strumento, per esempio il QE, o per quello che potrebbe essere il Tiering (ndr. applicazione di nuovi tassi alla liquidità in eccesso delle banche): la motivazione dell'introduzione di nuovi strumenti è per la Bce una soltanto, la sua politica monetaria», puntualizza Praet, spiegando un passaggio chiave per capire come funziona la Banca centrale europea.
Perché i tassi sono saliti nel 2011?
«In tanti si domandano perché la Bce ha alzato i tassi, due volte, nell'aprile e nel luglio del 2011 all’epoca di Trichet, prima che arrivasse Draghi con il taglio dei tassi nel novembre 2011. Prima del 2011 c'era stato un enorme shock bancario, la crisi era iniziata negli Usa e aveva colpito le banche europee maggiormente esposte ai mercati internazionali e a quello americano, come le banche tedesche, austriache, olandesi, belghe. La crisi bancaria in quei paesi non ebbe una grande ricaduta sull'economia reale, era confinata ad una crisi sugli assets delle banche con esposizioni estere. Lo Stato tedesco intervenne pesantemente per salvare le sue banche e così gli altri Stati» è la ricostruzione di Praet.
«Pensavamo che la crisi fosse soprattutto bancaria: la Bce è intervenuta altrettanto pesantemente dando liquidità alle banche, con le LTRO a tre anni, quasi 700 miliardi. Abbiamo ritenuto che si potesse distinguere tra i due fenomeni, da un lato c’era la crisi bancaria che fu gestita con le iniezioni di liquidità della Bce per dare tempo ai governi di organizzarsi per ricapitalizzare le banche con le iniezioni di capitale; e dall'altro lato c’era la gestione dell'economia reale e la politica monetaria, il rialzo dei tassi ci fu perché c'era stata una forte ripresa economica, l'inflazione nel 2011 era al 3%, il prezzo del petrolio era salito» racconta Praet, riconoscendo però che la crisi degli stati sovrani fu sottovalutata.
«Pensavamo che la crisi del debito sovrano fosse, come diciamo noi economisti, idiosincratica, cioè che sarebbe rimasta confinata in pochi Paesi, che la Grecia sarebbe stato un caso isolato. Ma quando, dopo quella passeggiata nell'ottobre 2010 a Deauville Sarkozy e Merkel decisero che gli Stati potevano fallire, e che il fallimento avrebbe potuto coinvolgere i privati, quella dichiarazione fu uno shock per i mercati: fu riconosciuto il problema dai politici ma non fu data allo stesso tempo la soluzione, perché non c'era. Ma le banche erano piene di titoli di Stato, avevano un'enorme esposizione verso il rischio sovrano. E così fu panico».
Praet sottolinea poi che la crisi bancaria in Spagna e in Italia ha avuto la ricaduta sull’economia reale, le banche spagnole erano esposte al mercato immobiliare e quelle italiane alle PMI. E quando il credito all’economia reale venne a mancare, arrivarono le TLTRO mirate ai prestiti all’economia (la prima TLTRO non ebbe molto successo perchè sul tasso delle MRO, la seconda TLTRO ebbe enorme successo superando i 700 miliardi, perché era ancorata al tasso negativo delle deposit facilities, dunque la Bce pagava le banche per farle indebitare). E poi arrivò nel 2015 il QE, uno strumento molto più potente: la Bce ha creato moneta, ha iniettato liquidità togliendo assets dal mercato (fino a 2.600 miliardi, maggiormente titoli di Stato) e spingendo le banche e i mercati a investire quella liquidità anche perchè i depositi Bce a tassi negativi (-0,40%) hanno reso il parcheggio della liquidità costoso e costretto banche e investitori a correre pù rischi e dunque finanziare l’economia. “Sono stato io indicare che il QE doveva essere senza risk sharing, me ne assumo la responsabilità”, dice Praet sorridendo.
La gestione del panico
Praet ha lavorato tra il 1987 e il 1999 come capoeconomista nella Générale de Banque, successivamente Fortis Banque. Quando la banca Fortis crollò, il suo bilancio era attorno ai 1000 miliardi quando il Pil del Belgio era attorno ai 350 miliardi. E la Grande Crisi Bancaria, Praet l'ha vissuta in prima persona: dal novembre 2000 al maggio 2011 Praet ha lavorato presso la Banca centrale del Belgio: e si ritrovato seduto al tavolo anti-crisi con il suo governatore per chiedere al governo belga 6 miliardi di euro in 48 ore, prima dell'apertura dei mercati, per salvare le banche in crisi. “I governi discutono a lungo per una spesa da 1 milione, credetemi non fu facile chiedere 6 miliardi in poche ore», ricorda Praet: «mi venne in mente di dire semplicemente che eravamo in guerra. “Siamo in guerra” dissi».
«Quando sono stato responsabile delle Risorse Umane in Bce lo staff della Banca è raddoppiato, perché abbiamo dovuto assumere altri 1000 dipendenti con la nascita dell'SSM; e quando ho preso il posto di Juergen Stark come capoeconomista della Bce, il bilancio della Banca è raddoppiato: tutti si ricorderanno di me per questi due raddoppi!!», scherza.
Recessione a tassi negativi?
Praet racconta il passato ma è altrettanto pronto a guardare avanti e gettare il suo sguardo sul futuro. Sa bene che è in corso un dibattito importante su cosa fare in Bce se arriva una recessione quando i tassi sono già negativi. «Dobbiamo stare attenti -dice – perché è un passaggio delicato quello della revisione della strategia della politica monetaria. Se cambiamo qualcosa, qualcuno potrebbe pensare: avete cambiato perché vi siete sbagliati. Ma non è così. La gestione della nostra politica monetaria ha funzionato, l'inflazione stava risalendo verso il nostro target prossima ma inferiore al 2% nel medio termine: ma sono arrivati altri shock, come Brexit, il protezionismo di Trump, il rallentamento della Cina, l'Italia. Quando la Bce deciderà di modificare la sua strategia, dovrà far ben presente che lo farà per far fronte ai nuovi shock e non perché ha la vecchia strategia non ha funzionato sugli shock del passato. Questo è fondamentale, perché altrimenti si rischia di creare una gran confusione, e la nuova strategia viene vista come una mossa da falco o da colomba, restrittiva oppure espansiva rispetto a quella passata. Attenzione ai messaggi, ai segnali, alla comunicazione: la gestione delle aspettative è tutto nella politica monetaria».
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