ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùLo studio controcorrente di Woodmac

Petrolifere più efficienti: un «mito» che gli investimenti non bastino

Per sviluppare la produzione il settore dell’Oil&Gas oggi spende circa la metà rispetto al picco del 2014. Ma l’allarme su possibili carenze di idrocarburi potrebbe essere infondato. E non perché la domanda calerà (al contrario, salirà almeno fino al prossimo decennio)

di Sissi Bellomo

(Getty Images)

3' di lettura

Gli investimenti nel settore Oil & Gas non corrono più ai ritmi di un tempo, ma sono più “efficaci” e la domanda non dovrebbe restare insoddisfatta. Nemmeno quando si spingerà al picco storico, atteso nel prossimo decennio. In un nuovo studio, che promette di far discutere, Wood Mackenzie smonta quello che definisce un «mito»: in pratica l’idea che le compagnie petrolifere abbiano tirato i remi in barca e stiano spendendo troppo poco per sviluppare (o anche solo per mantenere invariata) la produzione dei giacimenti, contrastandone il naturale declino. In realtà non è così, sostiene la società di consulenza, considerata tra le più autorevoli nell’industria dell’energia.

Quest’anno nell’upstream (esplorazioni escluse) verranno spesi circa 490 miliardi di dollari, stima WoodMac: un terzo in più rispetto ai minimi del 2020, ma poco più della metà in termini reali rispetto al picco di 914 miliardi del 2014. Un gap indubbiamente vistoso, su cui l’Opec non perde occasione di lanciare l’allarme e che preoccupa anche molti analisti indipendenti, alimentando una «diffusa convinzione che l’industria stia investendo in modo insufficiente e che una crisi negli approvvigionamenti sarà prima o poi inevitabile». Wood Mackenzie, che dispone di dati granulari sulle attività nell’Oil&Gas, sostiene però che si tratti solo di un «ammanco apparente».

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Le compagnie petrolifere – soprattutto in Europa – oggi subiscono pressioni crescenti da parte dell’opinione pubblica e dei loro stessi azionisti, che preferiscono generose redistribuzioni degli utili a un’oculata gestione del core business storico, ormai divenuto impopolare e inadatto a soddisfare i criteri Esg.

Il settore non è comunque allo sbando. Tutt’altro, se è vero – come scrive WoodMac – che «livelli di spesa non molto più alti degli attuali possono generare offerta sufficiente a soddisfare la domanda fino al suo picco e oltre». Picco che nel caso del petrolio la società si attende nei «primi anni ’30» a 108 milioni di barili al giorno (dal record di circa 102 mbg attesi per quest’anno).

Tra i motivi dell’ottimismo c’è l’estrema abilità dimostrata nel tagliare i costi, in seguito alle crisi del 2015-2016 e del 2020-2021, quando i profitti del settore crollarono insieme al prezzo degli idrocarburi.

Nei giacimenti convenzionali, spiega Fraser McKay, Head of Upstream Analysis di Wood Mackenzie, i costi unitari di sviluppo greenfield (partendo da zero, Ndr) sono stati tagliati del 60% in termini reali dal 2014 – da 16,1 a 6,5 dollari per barile equivalente petrolio, dopo un minimo di 4,7 $/boe nel 2020 – e nello shale oil statunitense «i pozzi oggi generano quasi il triplo della produzione a parità di impiego di capitale rispetto al 2014», grazie al progresso tecnologico, alla maggiore efficienza nell’impiego del capitale stesso e alla modularizzazione.

Le compagnie si sono inoltre focalizzate sui giacimenti migliori, con maggiori potenzialità e al tempo stesso minori difficoltà di sviluppo: «risorse giganti e low cost», sintetizza WoodMac. Anche nel prossimo decennio è probabile che sarà privilegiato lo sviluppo delle «risorse avvantaggiate, quelle con i costi più bassi, le emissioni (climalteranti) più basse e i rischi minori», si legge nello studio, che si conclude comunque con un caveat: non bisogna fare passi indietro, perché continueremo ad avere bisogno di idrocarburi, anche nel caso in cui la transizione energetica accelerasse, allineandoci all’obiettivo di un rialzo della temperatura entro 1,5 gradi.

Nello scenario base (di un rialzo, più realistico, di 2,5° C) Wood Mackenzie stima necessario investire circa 400 miliardi di dollari l’anno nell’Oil&Gas in questo decennio e quasi 250 miliardi nel prossimo. Se non avvenisse «l’impatto sarebbe di vasta portata, con conseguenze per l’economia globale».

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