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Petrolio Brent a 85 dollari, scorte crollate ma l’Opec+ non interviene

Prezzi record e scorte petrolifere ai minimi dal 2015 nell’Ocse. L’Opec+ ha raggiunto e superato il suo traguardo, ma – come la Russia col gas – non è disposta a offrire forniture extra

di Sissi Bellomo

Crisi energetica, cosa succede ora?

3' di lettura

Se dalla Russia non arriva abbastanza gas, dall’Opec+ non arriva abbastanza petrolio. È una scarsità di offerta sempre più evidente (e assecondata, se non creata in modo deliberato, da alcuni produttori) ad alimentare la corsa dei prezzi. Anche per il greggio, che continua ad aumentare di prezzo.

Il Brent, che da inizio anno ha guadagnato oltre il 60%, venerdì 15 ha superato la soglia degli 85 dollari al barile, mentre il Wti si è spinto sopra 82 dollari, in rialzo per l’ottava settimana consecutiva. Un rally così prolungato non si verificava dal 2015, ci ricorda Bloomberg. E forse non è un caso che le scorte petrolifere dei Paesi Ocse si siano ormai ridotte ai minimi proprio dal 2015.

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È un capovolgimento notevole rispetto all’anno scorso, quando la paralisi da pandemia faceva traboccare i serbatoi di stoccaggio, addirittura al punto da provocare un crollo sotto zero del valore del Wti.

L’Opec+ ha svolto «un eccezionale lavoro come regolatore del mercato», si è compiaciuto il ministro saudita Abdulaziz bin Salman, intervenendo giovedì 14 alla Russian Energy Week a Mosca: un lavoro tanto ben fatto che dovrebbe spingere a replicare il modello Opec «anche sui mercati del gas, del carbone e di altre fonti di energia», ha aggiunto il principe, raccogliendo l’approvazione dei padroni di casa («Ci penseremo», ha commentato il vicepremier russo Alexandr Novak).

A questo punto l’Opec+ sembra comunque essersi spinta troppo avanti, di certo ben oltre il traguardo che – almeno a parole – si era posta: la normalizzazione delle scorte petrolifere, ossia la loro discesa sotto la media del quinquennio 2015-2019.

Nell’area Ocse le scorte sono intorno a 165 milioni di barili, ossia circa il 6% sotto la soglia chiave individuata dall’Opec+, dopo essersi ridotte di 425 milioni di barili dal picco di luglio 2020: molto più di quanto necessario per eliminare l’accumulo legato al Covid, che era stato di 334 milioni di barili, fa notare John Kemp, analista di Reuters.

Tanto il ministro saudita quanto il vicepremier russo hanno però ribadito, ancora giovedì 14, di non ritenere opportuni aumenti di produzione più rapidi di quelli già pianificati dall’Opec+, che sta procedendo con incrementi mensili da 400mila barili al giorno (peraltro decisi a luglio, quando le condizioni del mercato erano ben diverse da oggi). Preoccupano le previsioni per il 2022, quando – a giudizio di molti analisti e non solo dei tecnici Opec – l’offerta di petrolio dovrebbe tornare a superare la domanda.

Oggi però tutto sul mercato segnala scarsità. Anche la struttura dei prezzi, caratterizzata da una crescente backwardation: il Brent per novembre è arrivato a costare oltre 8 dollari al barile in più di quello per dicembre 2022. Un premio così ampio per le consegne di greggio a breve non si vedeva dal 2013.

D’altra parte i consumi hanno preso a correre ben più di quanto chiunque avesse anticipato, con una spinta supplementare provocata dai vertiginosi rincari del gas e del carbone, che inducono a bruciare diesel e olio combustibile – oggi più convenienti – per generare elettricità: l’Agenzia internazionale dell’energia (Aie) stima che il fenomeno provocherà una domanda petrolifera extra di 500mila barili al giorno nei prossimi sei mesi.

La stessa Aie calcola che la produzione Opec+ nel trimestre in corso sia inferiore di 700mila barili al giorno rispetto a quanto servirebbe per soddisfare il mercato. Dunque le scorte continueranno a ridursi e le tensioni sui prezzi difficilmente si attenueranno. Almeno fino al prossimo anno, quando l’agenzia dell’Ocse – così come l’Opec, il governo Usa e gli analisti di molte banche – è convinta che l’offerta petrolifera tornerà a superare la domanda. E non perché quest’ultima si indebolirà (al contrario, dovrebbe recuperare i livelli pre-Covid), ma perché la produzione continuerà a crescere. Sia nell’Opec+ , a meno di un cambio di rotta nelle politiche del gruppo, sia altrove. A cominciare dagli Usa, dove forse non rivedremo più tassi di sviluppo da record come un tempo (gli operatori dello shale oil hanno scoperto la disciplina finanziaria), ma dove le leggi di mercato continuano a dettare la linea.

Con il rally del prezzo del barile – e il Wti in particolare ai massimi dal 2014 – il numero di trivelle è tornato a moltiplicarsi. Ce ne sono già in funzione 543, secondo il monitoraggio di Baker Hughes, un record da aprile 2020.

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