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Petrolio Brent a 90 dollari, il mercato teme escalation e sanzioni

Le quotazioni del barile tornano a scaldarsi nell’imminenza dell’offensiva di terra a Gaza e il rischio del coinvolgimento di altre forze islamiche. Il gas intanto chiude la settimana con un rialzo del 40%, sopra 55 euro/Megawattora al Ttf

di Sissi Bellomo

2' di lettura

Accanto al gas, anche il petrolio è tornato in fibrillazione, registrando un rialzo di oltre il 5% nella seduta di venerdì 13, che ha spinto il Brent oltre 90 dollari al barile: un livello comunque di poco superiore a quello raggiunto lunedì 9 in reazione allo scoppio della guerra in Israele. Le quotazioni avevano poi ripiegato, a differenza di quelle del gas, che nel corso della settimana è rincarato di circa il 40%, superando 55 euro/Megawattora al Ttf.

A riportare in tensione anche il prezzo del barile può aver contribuito banalmente l’avvicinarsi del weekend: in una situazione incerta – e nell’imminenza dell’offensiva di terra a Gaza da parte di Israele – molti fondi hanno ricomprato posizioni ribassiste per non rimanere scottati in caso di nuovi sviluppi negativi. Ad accentuare il nervosismo c’è inoltre il timore di strette sulle sanzioni, che potrebbero ridurre la già limitata disponibilità di greggio.

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Gli Usa per la prima volta giovedì 12 hanno “punito” due violazioni relative al “price cap” del G7 sul greggio russo. L’irrigidimento arriva a quasi un anno dall’entrata in vigore delle misure (che peraltro si sospetta siano state violate più volte) e potrebbe preludere a un giro di vite anche nelle sanzioni contro l’Iran.

L’amministrazione Biden ha abbassato la guardia da mesi con Teheran, forse per prevenire eccessivi rincari del greggio. E l’export iraniano è quasi raddoppiato da inizio anno, intorno a 2 milioni di barili al giorno, tra greggio e condensati. Le estrazioni sono ai massimi dal 2018: 3,1 mbg a settembre per l’Aie, dai 2,5 mbg del primo trimestre. Ma la Repubblica islamica, tradizionale sostenitrice di Hamas, ora rischia forte. Anche perché il ministro degli Esteri Hossein Amirabdollahian ha alzato la posta, avvertendo Israele – dopo un incontro con il capo di Hezbollah in Libano – del possibile coinvolgimento di altri gruppi armati in caso di ulteriore escalation a Gaza.

L’improvviso rigore degli Usa sul price cap al petrolio russo risponde ad altre logiche, estranee alla guerra in Israele: è forse piuttosto un modo per rimarcare la solidarietà con l’Ucraina, dopo che il Congresso ha negato aiuti extra.

Le società sanzionate sono la Lumber Marine, degli Emirati arabi uniti, e la turca Ice Pearl Navigation Corp. Entrambe avrebbero impiegato servizi marittimi basati negli Usa per commerciare greggio russo a prezzi superiori al “cap” ( fissato a 60 $/barile).

Dal database Equasis risulta che la nave usata dagli emiratini, la SCF Primorye, è gestita dalla Sun Ship Management di Dubai, in black list negli Usa e nella Ue perché si ritiene abbia “ereditato” la flotta statale russa di Sovcomflot. Nel caso dei turchi la nave “incriminata” è la Golden Bosphorus di Yasa Holding, controllata di Ice Pearl: un grattacapo per ExxonMobil, che oggi la sta impiegando con un contratto di noleggio a tempo (time-charter).

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