Petrolio, dietro le quinte si cerca una tregua alla guerra dei prezzi
Dopo l’annuncio shock sulla produzione annunciato dai sauditi, la Russia offre di tornare a trattare nell’Opec Plus. Ramoscello d’ulivo anche dagli Usa: cancellata la vendita di riserve strategiche
di Sissi Bellomo
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Nella guerra dei prezzi sul mercato del petrolio l’Arabia Saudita ha sganciato la bomba atomica, annunciando che ad aprile aumenterà le forniture di ben 2,6 milioni di barili al giorno: una quantità di greggio immensa, soprattutto oggi che i consumi sono crollati a causa del coronavirus. Ma proprio la rapida escalation di Riad – insieme al crollo delle quotazioni del barile su livelli insostenibili per qualunque produttore – sembra aver gettato le basi per una tregua tra i colossi petroliferi.
Dalla Russia, accanto a nuove esibizioni di potenza, è infatti arrivata anche una prima apertura a riprendere le trattative su tagli di produzione nell’ambito dell’Opec Plus. E un altro ramoscello d’ulivo è stato offerto a sorpresa dagli Stati Uniti dello shale oil, che hanno cancellato la maxi vendita di riserve petrolifere annunciata un paio di settimane fa.
Per finanziare le casse del Governo federale la Strategic Petroleum Reserve (Spr) avrebbe dovuto cedere, proprio tra aprile e maggio, 12 milioni di barili tra greggio e carburanti, ma il programma è stato sospeso: «Date le attuali condizioni del mercato petrolifero, non è il momento ottimale per vendere», ha spiegato il dipartimento Usa dell’Energia.
I negoziatori più esperti conoscono la strategia di provocare danni a scopo dimostrativo, per spingere gli avversari a tornare al tavolo di trattative in posizione di debolezza. L’Arabia Saudita, dopo la rottura con la Russia al vertice Opec Plus, potrebbe aver agito proprio con questo intento.
L’annuncio di Riad è arrivato in via ufficiale, con un comunicato di Saudi Aramco: dal 1° aprile le consegne di greggio «concordate con i clienti» saliranno a 12,3 mbg, un aumento del 25% rispetto agli attuali 9,7 mbg estratti dalla compagnia. Aramco dovrà anche attingere alle scorte, perché – come ha precisato il ceo Amin Nasser – le forniture «superano di 300mila bg la massima capacità produttiva sostenibile, che è di 12 mbg».
La decisione non ha fatto sprofondare ulteriormente le quotazioni del petrolio che anzi sono rimbalzate più del 10%, con i future sul Brent che alle 20 sfioravano i38 dollari al barile.
Riad nel weekend aveva offerto super sconti sui prezzi di listino offerti dalla compagnia, che secondo indiscrezioni hanno spinto alcune raffinerie ad incrementare del 30-50% gli ordini di greggio saudita, a scapito si presume di forniture di altra origine. Circola anche il rumor che la compagnia di navigazione saudita, Bahri, abbia prenotato ben 5 petroliere giganti (le Vlcc) per trasporti il prossimo mese verso gli Usa.
Anche l'Iraq intanto ha inseguito i ribassi sauditi, tagliando i cosiddetti Official Selling Prices (Osp). Ma i suoi sconti sono inferiori a quelli particati dall’Arabia Saudita: un altro segnale che fa ipotizzare la volontà di evitare ulteriori escalation nella guerra dei prezzi.
La Russia ha lanciato messaggi più ambigui, da un lato raccogliendo la sfida saudita (anche se con una minore potenza di fuoco in termini di capacità produttiva) e dall’altro offrendosi di tornare a collaborare nella cornice dell’Opec Plus.
Il ministro dell’Energia, Alexandr Novak, ha dichiarato che Mosca si accinge ad estrarre 300mila bg in più (mossa equivalente a cancellare i tagli realizzati con l’Opec Plus) e che l’incremento potrebbe spingersi a 500mila bg, fino ad arrivare al record post-sovietico di 11,8 mbg.
Novak – che venerdì 6 aveva fatto saltare le trattative al vertice di Vienna – si è tuttavia mostrato disponibile a ricucire con gli ex alleati, dichiarando secondo la Tass di «non escludere ulteriori misure congiunte con l’Opec» e che la prossima riunione dell’Opec Plus potrebbe tenersi a maggio o a giugno.
Per ora Riad gli ha sbattuto la porta in faccia. Il ministro saudita Abdulaziz Bin Salman, sentito dalla Reuters, ha detto di non riuscire a condividere la fiducia in un meeting così presto: servirebbe «solo per dimostrare il fallimento nel fronteggiare l’attuale crisi». «In un mercato libero – ha rincarato la dose – ogni produttore di petrolio è libero di dimostrare la sua competitività e di conservare e accrescere la sua quota di mercato».
Nel frattempo però c’è stata una telefonata (confermata dalla Casa Bianca) tra Donald Trump e Mohammed Bin Salman, il potente principe ereditario saudita. E il segretario al Tesoro Usa Steven Mnuchin ha incontrato l’ambasciatore russo a Washington, «enfatizzando - così dice una nota diffusa alla stampa – l’importanza di mercati energetici ordinati».
Non è chiaro che cosa stia avvenendo dietro le quinte. Ma è certo che il presidente Trump – pur mostrandosi spavaldo di fronte a quelli che ha definito «litigi» tra Mosca e Riad – comincia a temere conseguenze pesanti per le società dello shale oil.
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