Petrolio e gas, con Shell continua l’ondata di svalutazioni
Sulla scia di Bp, anche la compagnia anglo-olandese prevede writedown fino a 22 miliardi di dollari nel secondo trimestre.
di S.Bel.
2' di lettura
Dopo Bp tocca a Royal Dutch Shell annunciare pesanti svalutazioni per il secondo trimestre: tra 15 e 22 miliardi di dollari, oltre il 10% dell’attuale capitalizzazione di borsa. Una cifra addirittura superiore a quella indicata dalla compagnia britannica, che prevede un aggiustamento massimo di 19,5 miliardi.
Sembra una gara al rilancio, o meglio: al ribasso. E quasi di certo non è ancora finita, né per Big Oil né tanto meno per le fragili società dello shale oil Usa, per cui si prospettano almeno 300 miliardi di dollari di writedown stima Deloitte.
Domenica 28 Chesapeake Energy, uno dei pionieri del fracking, ha portato i libri in tribunale arrendendosi al Chapter 11. Pochi giorni prima Occidental, reduce dall’aggressiva scalata ad Anadarko, aveva segnalato svalutazioni per 9 miliardi.
Per Shell e Bp, grandi compagnie diversificate, le cause della pulizia di bilancio sono molto simili: da un lato il coronavirus, con il crollo – che si teme difficile da recuperare – della domanda di idrocarburi, dall’altra la presa di coscienza che la transizione energetica è un passaggio ineludibile, che costringerà a riorientare (e a ristrutturare) ogni attività.
Bp aveva legato i due fattori, affermando che la pandemia accelera l’allineamento agli obiettivi di Parigi sul clima. Shell, meno esplicita, sembra porre l’accento soprattutto sull’effetto Covid. Ma le sue svalutazioni colpiscono soprattutto le operazioni nel gas: il combustibile fossile meno inquinante, che in teoria dovrebbe fare da ponte verso un futuro a zero emissioni, e che occupa un ruolo centrale nel portafoglio della compagnia anglo-olandese,divenuta il maggior fornitore mondiale di Gnl nel 2016 con l’acquisto di Bg Group.
In quest’area ci saranno writedown per 8-9 miliardi di dollari ante-imposte, contro i 4-6 miliardi previsti per le attività nell’upstream (che include asset nello shale oil Usa e nell’offshore brasiliano) e i 3-7 miliardi del downstream.
Gli effetti sui conti – e in particolare sulla leva – si vedranno il 30 luglio, alla pubblicazione della trimestrale. Shell ad aprile a veva già ridotto i dividendi per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale e tagliato il budget per gli investimenti.
Le nuove misure sono la necessaria conseguenza della revisione dello scenario sui prezzi degli idrocarburi: la compagnia ora pensa che il Brent quoterà in media 35 $/barile quest’anno, 40 $ il prossimo e 50 $ il successivo, invece dei 60 $ che si attendeva in precedenza per il 2020-2022 e che tuttora si attende per gli anni successivi (Bp ha invece ridotto la previsione di lungo termine da 70 a 55$).
Per il gas Shell si attende ora 2,5 $/Mbtu (invece che 3 $) all’Henry Hub fino al 2022: un outlook comunque ottimista, visto che pochi giorni fa il combustibile scambiava a 1,5 $/Mbtu, sui minimi da 25 anni.
C’è invece poca fiducia sui margini di raffinazione e sui consumi di carburanti. Shell, che possiede la maggiore rete di distribuzione nel mondo, stima che il coronavirus abbia fatto crollare le sue vendite del 40% nel secondo trimestre su base annua.
La compagnia (forse anche perché costretta a collaborare con i tagli Opec Plus) ha inoltre prodotto meno petrolio e gas: 2,35 milioni di barili al giorno, contro i 2,71 mbg dei primi tre mesi dell’anno.
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