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Petrolio ai minimi da 18 anni: ma dopo la Bce schizza del +13%

Tra coronavirus e guerra dei prezzi, i ribassi del petrolio sono ormai senza freni: -60% da inizio anno. Crollano anche l'oro, il rame e altri metalli industriali

di Sissi Bellomo

(REUTERS)

3' di lettura

Un barile di petrolio non è mai costato così poco negli ultimi 18 anni. Con un nuovo, drammatico affondo – ribassi fino al 20% nel corso della seduta – il Wti è arrivato a scambiare intorno a 20 dollari, un prezzo che non si vedeva dal 2002. Il Brent è scivolato sotto 25 dollari, ai minimi dal 2003.

Nella mattinata del 19 però all'avvio dei mercati europei, per le quotazioni del petrolio che già nella notte avevano visto un balzo a seguito delle misure straordinarie da 750 miliardi di euro varate dalla Bce contro l'emergenza coronavirus, c’è stato un forte rialzo. Il greggio Wti del Texas schizza del 13% a 23,52 dollari al barile mentre il Brent del Mare del Nord cresce del 5% a 28,05 dollari.

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Ma torniamo alla situazine di scenario. Fiumi di petrolio continuano a riversarsi sul mercato, mentre i consumi si contraggono ogni giorno di più. Il mondo, paralizzato dal coronavirus, sta entrando in recessione secondo molti analisti. E gli stoccaggi sono a livelli di guardia: quelli a terra stanno già utilizzando il 61% della capacità, stima Kayrros, e fra sei mesi al più tardi non vi si potrà più aggiungere una sola goccia di greggio. L’emergenza è riflessa anche dai costi di stoccaggio, che a Cushing – punto di consegna del Wti – sono raddoppiati in un mese, riferisce Reuters.

Restano le navi, che già custodiscono 63 milioni di barili di scorte galleggianti, secondo Vortexa. Ma con i noli delle petroliere alle stelle questa opzione sta diventando sempre più onerosa: noleggiare una Vlcc per tre mesi oggi costa 150mila dollari al giorno secondo Gibson Shipbrokers, e sul mercato spot si arriva anche a 300mila dollari, dieci volte quanto si spendeva un mese fa.

L’impennata dei noli in gran parte è stata provocata dal boom di prenotazioni dell’Arabia Saudita, che da oltre una settimana ripete con cadenza quotidiana che aumenterà le forniture di greggio a 12,3 milioni di barili al giorno, «per diversi mesi» ha specificato ieri.

Sui mercati finanziari il panico da coronavirus spinge ormai a vendere quasi ogni asset, con un accanimento particolare verso quelli più rischiosi o più liquidi. Insieme ai titoli di Stato, ora travolti senza troppe distinzioni, anche l’oro resta nel mirino: le quotazioni sono di nuovo affondate più volte sotto 1.500 dollari l’oncia, alternando fasi di ribasso fino al 3% con spunti di rialzo vicini al 5%. La volatilità, espressa dal Cboe Gold Etf Volatility Index, è raddoppiata in sei sedute ed è ai massimi da novembre 2008.

Al London Metal Exchange – che per la prima volta in 143 anni di storia la settimana prossima chiuderà il parterre per evitare contagi da Covid19 – i metalli industriali sono ai minimi dal 2016. Il rame ha sfondato il supporto dei 5mila dollari per tonnellata, per scivolare fino a 4.863 $, con una perdita di oltre il 25% da metà gennaio.

Ma è il crollo del petrolio – che si è svalutato di oltre il 70% da inizio anno – ad apparire ormai senza freni. Un’inversione di rotta potrà avvenire solo con una ripresa dei consumi (e dunque con la fine della pandemia) oppure con un drastico taglio della produzione, volontario o dettato dalla disperazione.

L’Iraq ha esortato a ricomporre urgentemente l’Opec Plus, convocando un vertice di emergenza, ma è molto improbabile che il suo appello venga raccolto: sauditi e russi sembrano ancora ben decisi a non cedere nella guerra dei prezzi, anche se Mosca per la prima volta ha ammesso che forse si sta esagerand o. «Ovviamente il prezzo è basso, vorremmo vederlo più alto», ha detto il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, senza però accennare a possibili accordi con l’Opec.

I tagli (forzati) presto potrebbero arrivare da altri produttori: quelli dello shale oil Usa, che stanno subendo una stretta creditizia senza precedenti, e non solo.

Il paniere dei greggi messicani ormai vale meno di 20 $/barile, il petrolio pesante canadese – il Western Canadian Select – è sprofondato a 9,19 $, il minimo storico, e gli impianti di oil sands stanno già rallentando. La Nigeria, scrive Reuters, ha almeno 30 milioni di barili di greggio su petroliere pronte per salpare, che però non trovano un acquirente a nessun prezzo: il trasporto è troppo caro e molte raffinerie hanno già esaurito lo capienza di stoccaggio.

Mizuho Securities non esclude che il petrolio possa registrare prezzi negativi nei prossimi mesi: in pratica bisognerà pagare per riuscire a liberarsene.

Per approfondire:
Petrolio, Trump soccorre lo shale: riempiremo le riserve «fino all'orlo»

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