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Petrolio a prezzi sotto zero? Ecco perché è possibile

Dopo il crollo del Wti ad appena 20 dollari al barile, c’è chi comincia a prevedere una discesa dei prezzi in territorio negativo. E non è una provocazione

di Sissi Bellomo

(REUTERS)

3' di lettura

Petrolio a prezzi sotto zero. Sembra una provocazione, ma non lo è affatto. Al contrario è una previsione che potrebbe anche avverarsi se non ci sarà un’inversione di rotta: in fondo il Wti è già crollato ad appena 20 dollari, meno del valore del barile che lo contiene (online quelli di buona qualità vengono offerti a un prezzo almeno doppio).

Sui mercati finanziari c’è una forte volatilità e le quotazioni in seguito sono rimbalzate. Ma con un’offerta che supera enormemente la domanda , crollata per il coronavirus, molti analisti sono convinti che ci saranno ulteriori ribassi. E Paul Sankey di Mizhuo Securities avverte che potrebbero addirittura esserci prezzi negativi: segnale che i produttori possono liberarsi del greggio solo pagando.

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Il fenomeno non sarebbe una novità assoluta sui mercati energetici. Anche prima della pandemia è già successo più volte di vedere il segno meno davanti al prezzo del gas in alcune aree di shale degli Stati Uniti, dove i volumi estratti insieme al petrolio sono tanto elevati quanto inutili: non c’è modo di utilizzarli o stoccarli in loco, né capacità sufficiente nei gasdotti per trasferli altrove.

Anche sui mercati dell’elettricità capita (e in Europa è sempre più frequente) che i prezzi diventino negativi. Di solito succede quando la generazione da fonti rinnovabili è ai massimi e diventa sovrabbondante rispetto alle necessità. In teoria si potrebbe “immagazzinarla”, ma i sistemi di accumulo al giorno d’oggi sono ancora piuttosto rari a livello di rete.

È proprio questo il cuore del problema sul mercato del petrolio: lo storage. La capienza in questo caso è enorme e disolocata ovunque del mondo, ma l’ecesso di offerta sta diventando così grande che rischia di finire lo spazio. I serbatoi di stoccaggio sulla terra ferma sono già pieni al 61%, rileva Kayrros, sulla base di osservazioni satellitari.

Conservare il petrolio costa sempre più caro, tanto che per le qualità meno pregiate potrebbe non valere la pena.

«Sul mercato fisico – spiega Sankey di Mizuho – la realtà è che il petrolio una volta estratto dal terreno dev’essere consumato o stoccato. Quando il costo dello storage sale abbastanza in alto, oppure lo spazio si esaurisce, le compagnie potrebbero dover pagare i clienti perché se lo prendano».

«Prezzi negativi – prosegue l’analista – significa semplicemente che il costo dello stoccaggio supera il prezzo di mercato».

Probabilmente non vedremo mai i futures sul Brent e sul Wti andare sotto zero. Ma alcuni greggi sul mercato fisico sono già avviati in quella direzione.

Un listino prezzi pubblicato da Plains Marketing Lp, visionato dal Sole 24 Ore, mercoledì 18 mostrava un prezzo di appena 4 dollari per un barile di Souh Texas Sour, greggio di bassa qualità e generalmente poco ricercato.

Non supera comunque i 16-17 dollari al barile nessuno dei greggi estratti in Texas, Louisiana e New Mexico, dove si concentra la maggior parte dello shale oil americano, con bacini ricchissimi come quello di Permian.

Il West Texas Intermediate delle Midlands ormai vale «quanto una bistecca scontata», osserva Bloomberg: 16,24 dollari al barile.

È comunque un valore doppio rispetto a quello del Western Canada Select: il riferimento per le oil sands canadesi è crollato al minimo storico di 7,47 dollari al barile.

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