Petrolio, Russia verso la sospensione dalle quote Opec+
Mosca potrebbe presto essere svincolata da ogni obbligo nella coalizione, perché la sua produzione di greggio sta crollando e lo farà ancora di più dopo l’embargo Ue e le sanzioni contro chi assicura i carichi trasportati via mare
di Sissi Bellomo
I punti chiave
4' di lettura
Le sanzioni potrebbero portare anche la Russia, come l’Iran e il Venezuela, ad essere liberata da ogni vincolo sulla produzione di petrolio da parte dell’Opec+. È possibile che una decisione in merito alla sospensione dal sistema delle quote venga presa già durante il vertice di giovedì 2 giugno, secondo indiscrezioni che circolano tra i delegati.
Al di là dei rumors, riferiti per primo dal Wall Street Journal, si tratta di uno sviluppo più che plausibile: addirittura una logica conseguenza delle misure punitive decretate dall’Occidente contro Mosca, che hanno già fatto calare la sua produzione di greggio di circa un milione di barili al giorno ad aprile.
Perdite stimate al 17%
Ulteriori riduzioni sono praticamente scontate e lo stesso governo russo teme di perdere fino al 17% dell’output quest’anno (a 8,7 mbg dagli oltre 10 mbg del 2021): un tracollo paragonabile solo a quello degli anni ’90, legato alla fine dell’Urss.
Il colpo più pesante è arrivato nella serata di lunedì 30 maggio, quando dopo lunghe trattative anche l’Unione europea – sulla scia di Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna e Australia – ha raggiunto un accordo per imporre un embargo petrolifero.
Stop alle polizze entro sei mesi da compagnie europee e Usa
Il sesto pacchetto di sanzioni, varato contestualmente da Bruxelles, prevede peraltro anche il divieto (entro sei mesi) di assicurare e riassicurare i carichi marittimi di combustibili russi: una misura di forte impatto che ostacolerà le esportazioni di Mosca non solo in Europa ma ovunque nel mondo, a maggior ragione perché – secondo fonti del Financial Times – verrà adottata in coordinamento con Londra, mercato chiave per il settore con Lloyd’s.
È nel Vecchio continente e in Nord America che si concentra la maggior parte delle società specializzate in questo tipo di polizze, sia quelle che coprono da eventuali danni alle navi (H&M ossia Hull & Machinery) sia quelle a protezione dalle conseguenze – potenzialmente gravissime – di incidenti in mare, compresi i disastri ambientali provocati dal naufragio di petroliere. Per questa categoria di rischi l’assicurazione, che è obbligatoria, è offerta dai P&I (Protection & Indemnity) Clubs, associazioni di mutua assicurazione create in origine da armatori occidentali, che oggi hanno già iniziato a prendere le distanze dalla Russia.
Presto le relazioni potrebbero essere interrotte, costringendo Mosca a rivolgersi a operatori cinesi o indiani, verso i quali c’è scarsa fiducia, anche nei Paesi che in teoria sarebbero disponibili a comprare greggio russo. Quando le sanzioni occidentali hanno colpito l’Iran il nodo delle assicurazioni è stato decisivo per fare crollare l’export di petrolio dal Paese.
La Russia resta comunque il terzo produttore mondiale
Nell’Opec+ nessuno ha interesse ad espellere la Russia: la coalizione, nata nel 2016, smetterebbe di esistere senza Mosca, che tuttora nonostante le difficoltà rimane il terzo produttore mondiale di greggio, superata solo dall’Arabia Saudita (alleata nel gruppo) e dagli Usa.
Il punto è che nascondere la testa sotto la sabbia sta diventando sempre più difficile, soprattutto per i sauditi e per quei pochi altri membri dell’Opec+ (gli Emirati arabi uniti e in misura minore Kuwait e Iraq) in grado di accelerare l’apertura dei rubinetti. Le pressioni – oltre che le tentazioni – stanno crescendo con le quotazioni del barile che ormai superano 120 dollari, in rialzo di oltre il 70% negli ultimi sei mesi.
Contatti internazionali
L’ultimo appello è arrivato il 27 maggio dai ministri dell’Energia del G7, che hanno esortato tutti produttori di petrolio e gas ad «agire in modo responsabile» di fronte alla scarsità d’offerta, osservando che in particolare «l’Opec ha un ruolo chiave da giocare». Ma è da mesi che le pressioni sono già forti, soprattutto da parte degli Usa. E il presidente Joe Biden starebbe ora pianificando di recarsi a Riad a fine mese, in coda alla visita che dovrebbe fare in Israele.
Proprio in Arabia Saudita si è intanto già recato il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, che mercoledì 1° giugno ha incontrato il suo omologo, il principe Faisal bin Farhan Al Saud: il comunicato da Mosca evidenzia (e di certo non è un caso) che i due hanno parlato anche di Opec+, «apprezzando il livello di cooperazione» raggiunto grazie a quest’alleanza.
Giovedì 2 – giorno del vertice della coalizione, che di nuovo si riunirà via web – è previsto che Lavrov partecipi al Consiglio di cooperazione del Golfo (Gcc), organismo di sei Paesi di cui fanno parte anche altri due membri dell’élite dell’Opec: Emirati arabi e Kuwait, entrambi capaci come l’Arabia Saudita di accelerare le estrazioni di greggio.
La Russia potrebbe chiedere la sospensione delle quote
Per l’emissario di Mosca potrebbe essere l’occasione giusta per autorizzare – o forse addirittura per chiedere – la sospensione dalle quote produttive, liberando così le mani agli alleati del Golfo Persico, che con l’export di diesel oggi non si fanno scrupoli a sottrarre quote di mercato alla Russia, ma che finora hanno evitato di offrire più greggio nel timore che il tradimento dei patti potesse distruggere l’Opec+.
Un riordino delle quote peraltro sta diventando un’esigenza piuttosto urgente per il gruppo, che a settembre concluderà il programma di ritiro dei maxi tagli di produzione con cui aveva regito alla pandemia da Covid. Il piano, approvato a luglio 2021, prevedeva aumenti mensili da 432mila bg che ormai da tempo sono divenuti virtuali perché la maggior parte dei Paesi membri non riesce a produrre di più.
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